Il buonismo dei giudici con il terrorista assassino

Estradizione a rischio per Bergamin, l'ideologo dei Pac. Uccise un agente: 2 anni, come per furto

Il buonismo dei giudici con il terrorista assassino

Chissà cosa pensano i familiari di Andrea Campagna, agente della Digos, ammazzato a venticinque anni dai Proletari armati per il Comunismo, quando leggono che lo Stato valuta la vita di questo suo servitore con due anni di carcere: come un furto da nulla. Eppure questo sta scritto nelle sentenze che ieri fanno irruzione nel caso dei latitanti di lungo corso del terrorismo rosso finalmente arrestati in Francia due settimane fa, e forse prossimi alla consegna all'Italia. Ma uno di loro forse la scamperà. Ed è proprio uno degli assassini di Campagna, il fondatore dei Pac Luigi Bergamin. Se la scamperà, non sarà solo grazie alla generosa accoglienza offertagli per decenni dalla Francia della «Dottrina Mitterrand». Sarà soprattutto grazie alla inspiegabile indulgenza con cui la giustizia italiana lo ha trattato nei lunghi anni della sua latitanza.

Salta fuori tutto ieri mattina nell'aula della Corte d'assise di Milano che affronta il caso Bergamin. Lo scorso 28 aprile, il giorno della retata, il 73enne fuggiasco non era stato trovato. Si era costituito l'indomani, e come gli altri era stato liberato alla fine di una udienza surreale, con i vecchi brigatisti che rivendicavano come imprese rivoluzionari i loro delitti da macellai. Anche Bergamin era lì. Consapevole che il suo destino è appeso a un filo. Perché si gioca tutto su una domanda: la pena che gli è stata inflitta, 27 anni di carcere, è ormai prescritta dal tempo trascorso? Un dettaglio apparentemente tecnico ma che ieri apre una finestra su un tema poco esplorato: il trattamento quantomeno indulgente che i terroristi rossi ricevettero da parte dei giudici chiamati a processarli. Pochi anni dopo che i magistrati inquirenti - Coco, Alessandrini, Galli e altri - venivano ammazzati, i loro colleghi giudici riconoscevano le attenuanti ai loro assassini. E le conseguenze si vedono adesso.

Il documento choc lo porta ieri in aula il pm milanese Adriana Blasco. È stata lei, mentre i colloqui segreti tra Italia e Francia stringevano la rete intorno ai latitanti, a chiedere e ottenere in tempi record che Bergamin venisse dichiarato delinquente abituale, unica strada per evitare che la sua condanna del 1990 non venisse prescritta. Ma quella dichiarazione non è definitiva, Bergamin potrebbe farla franca. Perché nonostante il sangue di cui si è macchiato il totale della pena da scontare è quasi ridicolo: sedici anni, al più diciotto.

Come è possibile? Ecco il documento della Blasco. Bergamin, dicono le carte, è il fondatore di «Senza Galere», la rivista intorno cui nascono i Pac, progettando una saldatura tra criminalità comune e lotta armata. La saga dei Pac dura un anno ma il bilancio delle sue imprese è impressionante. Bergamin viene condannato per una sfilza di reati: banda armata, quattro delitti con finalità ideologiche, nove rapine, tre gambizzazioni, due omicidi. Per avere ammazzato il maresciallo Antonio Santoro, comandante del carcere di Udine, viene condannato a 23 anni: appena due anni sopra il minimo della pena, grazie alla concessione chissà perché delle attenuanti generiche. Ma a lasciare di sasso è il resto: per tutti gli altri reati gli vengono rifilati, grazie al criterio della continuazione, solo due anni. Eppure dentro c'è di tutto: i tre ferimenti, agguati che hanno rovinato la vittima a cittadini inermi come i due medici Diego Fava e Giorgio Rossanigo, definiti «medici sbirri», o all'agente di custodia del carcere di Verona Arturo Nigro. E altri due anni per l'assassinio a sangue freddo del poliziotto milanese Andrea Campagna, colpevole di abitare nel quartiere popolare della Barona come gli estremisti su cui indagava.

Totale ventisette anni. Poi arrivano gli indulti del 1990 e del 2006, e questi non sono colpa dei giudici ma del Parlamento, che consente anche ai terroristi irriducibili di godere dello sconto di pena. Ma la decisione cruciale, quella che ora rischia di consentire a Bergamin di non fare neanche un giorno di carcere, la prende il tribunale di Milano nel 2008: il terrorista è latitante da diciott'anni, nel 1990 i francesi lo hanno liberato per l'ultima volta. Eppure i giudici dichiarano estinta la pena per l'assassinio dell'agente Campagna.

Per la legge è come se il poliziotto non fosse mai stato ucciso, anche se riposa sotto due metri di terreno. È questa la decisione che ora rischia di far prescrivere tutto.

Entro cinque giorni la Corte d'assise di Milano deciderà se Luigi Bergamin può tornare a ridere in faccia alla giustizia italiana.

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