Ovunque presente. Benito Mussolini c'è. Un marchio che non conosce crisi. Inutile andare per negozi: è sufficiente un giro in rete per rendersene conto. Non vengono fuori solo calendari e magliette col faccione del Duce, manganelli con l'aquila romana o portachiavi a forma di fascio littorio: c'è molto, molto di più. C'è il commercio di mattoni con lo stemma del Fascio, che si sostiene provenire dal Parlamento e che è in vendita a 50 euro al pezzo. C'è lo spaccio di spille, libri, felpe, accendini, anelli e busti, giusto per citare alcuni degli articoli più in voga. E poi c'è chi il nome Mussolini lo ha abbinato al caffè ed allo zucchero, oltre che alla pasta, smerciando a cinque euro mezzo chilo di trafilata al bronzo, chiedendone otto per 250 grammi di macinato ovviamente nero per moka e quattro euro per 200 bustine di dolcificante gusto Ventennio.
Potrà una legge imbrigliare commercianti e web? Potrà essere arrestata con un codicillo, invece che con una severa dieta, la diffusione delle tagliatelle alla Benito Mussolini, servite dallo chef Lucio Pompili nel suo ristorante di Cartoceto, dalle parti di Pesaro? C'è chi ne dubita. Senza essere nostalgico. Basta un salto a Predappio, tra i comunisti che non ci sono più. Da quando il loro concittadino finì a testa in giù a piazzale Loreto, il borgo romagnolo che al capo del Fascismo diede i natali nel 1883 - e che oggi ne conserva le spoglie nel cimitero di san Cassiano - ha sempre avuto sindaci rossi. E poi del Pds, dei Ds, del Pd. Eppure da queste parti si campa (anche, forse soprattutto) di storia. Dei 6.500 abitanti in 650 hanno una partita Iva e si sono fatti imprenditori per accogliere i turisti che arrivano ad ammirare le bellezze naturalistiche del posto e le vestigia della «Betlemme del fascismo» (copyright Achille Starace). Perché a Predappio tutto parla di Mussolini: il corso, le poste, il teatro, l'asilo comunale e la sede del Comune, attualmente guidato da un altro sindaco Pd, il renzianissimo Giorgio Frassineti. Uno che le idee le ha sempre avute chiare. Ad iniziare dal volume d'affari mosso da quel passato che il Parlamento vuol rendere reato anche solo a nominarlo. Cifre da capogiro: 150mila visitatori l'anno, 410 al giorno. Prima non c'erano alberghi, locande, negozi di souvenir. Il Pci non li voleva, per non fare del paese un sacrario. Caduto il Muro, la musica è cambiata: ora ci sono un paio di b&b (uno gestito dalla moglie del sindaco), 18 ristoranti e tre rivendite di cimeli ma pure di vino rosso griffato Mussolini. E un imprenditore di Lodi ha trasformato in museo villa Carpena, dove il Duce incontrava donna Rachele e i figli. Costo della visita: 8 euro.
Si può impedire tutto ciò per legge, pena l'accusa di apologia ed il carcere? «No», ammetteva in un'intervista Frassineti: «Serve altro. Serve una rivoluzione culturale. Non si può negare un periodo storico». E contro i negazionisti s'è battuto per fare di Predappio la capitale dell'architettura fascista, nell'ambito del progetto Atrium. Ufficialmente: «Dalle ferite di un passato scomodo e terribile una rotta culturale transnazionale avvalorata da specifici prodotti turistici culturali». Governo e Regione, dopo l'interesse iniziale, si sono sfilati.
Resta il sostegno dell'Unione Europea, che su Atrium potrebbe investire per unire le città d'Europa segnate dai regimi totalitari. Se n'è discusso qualche giorno fa all'università di Bologna. Giusto in tempo, prima dell'apertura della caccia alle streghe.
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