Non è una crisi di nervi né uno scontro solo politico quello che all'una di notte ha scosso la riunione del gabinetto di guerra fino a che Netanyahu ha dovuto sospenderlo. È la crisi esistenziale che Israele deve attraversare dopo il disastro del 7 di ottobre. L'origine dello scontro è stato l'annuncio, durante la riunione di ieri, del capo di stato maggiore Herzi Halevi di una commissione di indagine sull'esercito che partisse dal fallimento di ottobre, non è chiaro se per invocare più durezza o più cautela.
La disputa si è accesa su due punti: il primo sull'opportunità di porre ora in dicussione un esercito che sta combattendo, senza aspettare la fine della guerra. E il secondo riguarda l'operato di Shaul Mofaz, ex capo di stato maggiore, e del generale Aharon Zeevi Farkash, ex capo dell'intelligence dell'esercito. Quattro ministri si sono scagliati contro Mofaz: quelli della destra Ben Gvir e Betzalel Smotrich, e due membri del Likud, Miri Regev e David Amsalem. I quattro hanno ricordato che Mofaz tenne per lo sgombero di Gaza nel 2005, che Farkash ha sostenuto l'obiezione militare nello scontro sulla riforma giudiziaria. Punti poco legati al tema.
Il ministro della Difesa Yoav Gallant ha cercato di bloccare i quattro, Netanyahu è stato costretto a chiudere la riunione dopo tre ore di urla udite anche fuori dalla stanza, con Benny Gantz, leader dell'opposizione entrato nel gabinetto di guerra dopo lo scoppio del conflitto, a chiedere a Bibi di scegliere «tra unità e sicurezza oppure la politica». Adesso, con il segretario di stato Usa Antony Blinken in arrivo, si tratta di affrontare la questione del «day after», oggetto della riunione fallita. Il ministro degli Affari strategici, Ron Dermer, e Gallant hanno il compito difficile di illustrare i punti in comune e le differenze con gli Usa. Si sa del piano di Yoav Gallant che Israele manterrà libertà di azione militare ma che non ci sarà presenza civile israeliana a Gaza dopo che gli obiettivi della guerra siano stati raggiunti. Una forza multinazionale di stati europei e arabi sosterrà la responsabilità della ricostruzione e della gestione assieme ai palestinesi, Stati Uniti, Israele ed Egitto contribuiranno a isolare il confine fra Gaza e L'Egitto. L'entità palestinese riformata e affiancata dalla forza multinazionale governerà coi meccanismi amministrativi esistenti dentro Gaza, basata su comitati locali. La forza multinazionale sorveglierà e aiuterà.
Che il piano sia o meno realizzabile è il terreno di incontro che si può concordare con Biden, un rilancio da Premio Nobel, fantasioso, volenteroso, di «due Stati per due popoli». Ma che i palestinesi di Abu Mazen (all'ospedale in queste ore), che fino a ora tengono per Hamas, diventino un partner, è possibile se abbandoneranno il loro sogno: vedere crescere la mezzaluna iraniana che come dimostra anche il discorso di Nasrallah, pensa di strangolare Israele circondandola di nemici. Per questo quando Ben Gvir dice che vuole rioccupare Gaza, prospettiva davvero poco attraente che non a caso fu rigettata d Sharon con lo sgombero nel 2005, ha un peso nell'opinione pubblica.
Prima dell'aggressione del 7 ottobre Israele non conosceva una lezione che purtroppo ha poi dovuto imparare: quella dell'odio che non conosce confini. Su come gestire questa nuova consapevolezza in un Paese democratico è aperta una difficile discussione.
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