C'era un sistema Palamara, ma probabilmente c'era anche, fatte le debite proporzioni, un sistema Reggio Emilia. Giovanni Paolo Bernini, uomo forte di Forza Italia abbattuto per via giudiziaria, l'aveva già descritto nel sui libro «Storie di ordinaria ingiustizia», uscito nel 2019 con nomi, cognomi e molti punti di domanda orfani di risposta. Ora la cacciata del procuratore Marco Mescolini per incompatibilità ambientale alza il sipario su quella realtà. «Io non mi accontento di quel risultato pure storico perché è la prima volta che il Csm manda via un procuratore la cui nomina, secondo Luca Palamara e non solo il sottoscritto fu fortemente sostenuta dal Pd locale».
Adesso, qual è l'obiettivo?
«Adesso bisogna riaprire l'inchiesta Aemilia sulle connessioni fra la ndrangheta e la sinistra in Emilia. Ci sono fiumi di intercettazioni sul rapporto opaco fra le famiglie della criminalità e il Pd. Non dico che ci fossero le prove, ma quantomeno sospetti e indizi di manovre e connivenze sottobanco. Bene, quella valanga di carte è sempre rimasta in un cassetto».
Lei, invece?
«Io invece nel 2015 vengo inquisito dalla procura di Mescolini sulla base di un'unica intercettazione in cui un malavitoso parla con un suo familiare di un fantomatico bonifico da 50 mila euro. Soldi che gli avrei dato per accaparrarmi, attenzione, 200 preferenze. Io non so perché quel signore abbia detto una frase così palesemente fuori dal mondo, senza capo nè coda. Io nel 2007 a Parma, la mia città, valevo 1500-2000 preferenze, ero il presidente del consiglio comunale ed ero in grande ascesa: infatti subito dopo ero diventato assessore nella giunta di Pietro Vignali e consigliere del ministro Pietro Lunardi».
«Apprendo direttamente dal Tg di essere coinvolto nella maxi-inchiesta sulla ndrangheta. La mia casa viene perquisita. Sulla base di quella intercettazione strampalata, senza alcun riscontro, senza niente di niente, la procura formula nei miei confronti non uno ma due capi d'accisa: il concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso e il voto di scambio. Capisce: mi pare obiettivamente difficile sostenere che io sia stato vittima di un errore. Questa è stata una persecuzione che è tutta un'altra cosa».
Lei però non viene arrestato.
«Certo, ma la procura aveva chiesto per me le manette. Per fortuna il gip dice no all'ordine di custodia e lo stesso fa il tribunale del riesame, ma la procura insiste, insiste, insiste. Sempre sulla base di quelle parole. La storia del mio caso è ancora lunga e va avanti anche dopo l'assoluzione di primo grado, per sgonfiarsi solo in appello con la caduta del contesto mafioso, la derubricazione del voto di scambio e la prescrizione in sentenza».
Ma perché non si accontenta di esserne uscito?
«La mia carriera politica è stata stroncata, la mia vita è stata violata e io voglio sapere perché tutto questo è accaduto».
Lei che lettura dà nel suo libro?
«La chiave è il Sistema: la connessione fra la sinistra del Pd e la sinistra in toga.
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