Cade la prima testa: Storari mai più pm e cacciato da Milano. Veleni sul Tribunale

Il Pg chiede al Csm sanzioni durissime per la toga che passò i fascicoli a Davigo

Cade la prima testa: Storari mai più pm e cacciato da Milano. Veleni sul Tribunale

Mai più a Milano, mai più pubblico ministero. Da settimane Paolo Storari era piuttosto rassegnato all'idea che la pensata di consegnare a Piercamillo Davigo la brutta copia dei verbali dell'avvocato Amara gli avrebbe procurato, oltre all'inchiesta penale per rivelazione di segreto d'ufficio, anche qualche guaio disciplinare. Ma non pensava che sulla testa gli sarebbe piovuta una richiesta della pesantezza di quella avanzata dal procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi: rimozione immediata dalla Procura di Milano, e divieto di esercitare le funzioni di pm in qualunque altra sede. La carriera di Storari come pubblico ministero rischia di finire qui: ed è passata appena una manciata di anni da quando Ilda Boccassini lo indicava in conferenza stampa come il più bravo e coraggioso della nuova leva della Procura di Milano.

Oggi, la convinzione di Storari è che si voglia fare di lui il capro espiatorio di tutta la incredibile matassa di veleni che, a partire dall'inchiesta sulle presunte tangenti Eni, avviluppa la Procura del capoluogo lombardo. E considera significativa la velocità quasi fulminea del procedimento partito contro di lui: con l'udienza disciplinare davanti al Csm fissata per il 30, tra appena una settimana durante la quale gli viene anche chiesto di fare arrivare una nota difensiva. Ciò non toglie che sia deciso a vendere cara la pelle, anche se sa di non avere correnti pronte a difenderlo. Non a caso anche davanti al Csm verrà difeso da Paolo della Sala, lo stesso avvocato che lo difende penalmente: perché se avesse scelto di farsi assistere da un collega magistrato sarebbero partite le dietrologie sulle appartenenze di corrente.

Davanti al Csm, la linea difensiva di Storari sarà in buona parte la stessa già messa in campo a Brescia: quando consegnò a Davigo i verbali di Amara sulla loggia Ungheria, il caso di cui temeva l'insabbiamento, lo fece convinto che un membro del Csm avesse diritto di conoscere anche atti segreti. Fu lo stesso Davigo a dirgli di non preoccuparsi delle formalità, dicendo «me ne occupo io». E il fatto che oggi Davigo sia incriminato per averlo istigato è la conferma della sua tesi. Ma non solo: che nessuno dei molti pubblici ufficiali cui ieri Davigo rivela di avere passato i verbali abbia invitato a una procedura più informale, per Storari è la conferma della liceità del suo comportamento.

A bruciare oggi al pm è la richiesta di toglierlo immediatamente dalla Procura di Milano, come se la sua presenza fosse un pericolo: «Ma basta leggere le raccolte dei giornali - dice della Sala - per avere la prova che in tutti questi mesi Storari ha continuato a lavorare senza sosta, raggiungendo risultati investigativi importanti, e in piena armonia con i colleghi e con il coordinatore del suo pool». Ma c'è un'altra cosa che - anche se questo non lo dirà mai - Storari non riesce a spiegarsi.

Come sia possibile che a venire cacciato dalla Procura di Milano debba essere lui, e non chi voleva utilizzare i verbali di Amara non per fare luce sulla loggia ma solo per infangare e delegittimare i giudici del processo Eni; e che oggi è a sua volta indagato per avere nascosto le prove favorevoli agli imputati trovate nel corso dello stesso processo. È questa, ben più del verbale passato incautamente a Davigo, la vera deviazione in corso in questi anni a Milano. Ma di questo, almeno per ora, a Roma non si scandalizza nessuno.

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