Il calcio diventa un'arma sporca

In un'Europa alle prese con la guerra, il calcio dovrebbe abbattere le barriere e regalare sogni

Il calcio diventa un'arma sporca
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Il fruscìo della palla che rotola di solito ha un potere taumaturgico. Di solito. Lo sport e il calcio sono iniezioni distraenti che hanno la forza di regalare altri pensieri. Minori e meno importanti per definizione rispetto alla vita vera, anche se milioni di persone, sostenendo squadre e maglie, combattono piccole battaglie e patiscono pene dantesche proprio per quei pensieri. Lo chiamano tifo. Distrarsi, oggi, anche nello sport e nel calcio, riesce però meno naturale perché non è semplice dimenticare che fra le squadre in campo, in questi giorni in Germania, c'è la rappresentativa di un Paese, l'Ucraina, in guerra nel cuore d'Europa; e, quindi, nel cuore di questo Europeo. E sempre in quel campo manca un'altra squadra, la Russia, proprio perché il suo Paese quella guerra ha scatenato.

Eppure lo sport dovrebbe avere il potere distraente e anestetizzante di lenire e ammorbidire le ferite con i sogni, non importa se lunghi 90 minuti più recupero. Spesso ci è riuscito, questa volta no. E non per colpa sua. Se il campo si ostina a prenderci per mano, provando a regalarci vittorie e sogni, a far da contraltare riportandoci ogni giorno alla realtà da dimenticare di una palla che rotola nel cuore di un Europeo di un'Europa in guerra, ci pensano da una parte i sistemi di disinformazione ormai ben rodati e in gran parte riconducibili a Mosca e, dall'altra, i nazionalisti da stadio. Lunedì, durante Ucraina-Romania, dalla tifoseria romena si sono levati cori contro Putin subito filmati, montati e diffusi in modo che sembrassero l'esatto contrario: urla in sostegno del dittatore. Fake news, dunque. Il giorno prima, in occasione di Serbia-Inghilterra, poco simpatici cori dal tifo serbo, stavolta nessuna fake, contro il Kosovo. E l'Uefa ha aperto un'indagine. Ovviamente è bastato attendere Croazia-Albania per ascoltare dagli spalti un non fraintendibile «uccidi il serbo» con successiva protesta ufficiale della federazione di Belgrado. Chiamiamola geopolitica del pallone nell'Europa in guerra.

Nel 1992, a causa della disgregazione jugoslava e dei conflitti scoppiati nei Balcani, al posto della squadra jugoslava venne ripescata la Danimarca. Che poi vinse il titolo. Fu il sogno che lo sport distraente a volte sa regalare.

Fra una settimana saranno 110 anni dall'attentato di Sarajevo, dall'assassinio di Francesco Ferdinando e la consorte Sofia, uccisi da un nazionalista serbo bosniaco. E con la guerra nel cuore dell'Europa, e degli Europei, questa è una ricorrenza che sa di incubo.

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