Calenda demolito insulta gli elettori: "Sbagliano loro". Ma nella base è già resa dei conti

È la sera di lunedì, il dato elettorale delle regionali in Lombardia e Lazio è definitivo, quando Carlo Calenda blocca la chat di Azione, che di ora in ora s'era trasformata in un sfogatoio di veleni e accuse

Calenda demolito insulta gli elettori: "Sbagliano loro". Ma nella base è già resa dei conti

È la sera di lunedì, il dato elettorale delle regionali in Lombardia e Lazio è definitivo, quando Carlo Calenda blocca la chat di Azione, che di ora in ora s'era trasformata in un sfogatoio di veleni e accuse. «Mi assumo tutta la responsabilità, ne parliamo domani (martedì) liberamente in direzione. Ora stop alle polemiche». Poche righe, per stoppare sul nascere tensioni e malumori a caldo dopo la disfatta elettorale. La delusione per il flop è incontenibile. Il messaggio di Calenda piomba nella chat dei big. Per intenderci, quella nella quale scrivono Mara Carfagna e Mariastella Gelmini, il capogruppo Matteo Richetti e i dirigenti nazionali di Azione. La vecchia guardia si scaglia contro gli ex di Forza Italia. L'altro azionista del Terzo Polo, Matteo Renzi, rompe il silenzio: «Il risultato è peggiore delle aspettative ma la destinazione non cambia. La nostra destinazione si conferma la casa comune dei riformisti in vista delle elezioni europee del 2024 dove sarà tutta un'altra musica».

È una resa dei conti. C'è chi minaccia dimissioni, chi le rassegna, come nel caso di Niccolò Carretta coordinatore del partito in Lombardia. Un'altra grana scoppia a Roma con la federazione di Azione in subbuglio contro Calenda: il candidato di punta, Federico Petitti, indicato anche come capolista del Terzo Polo nel collegio di Roma e provincia, non è stato eletto. Doveva essere la punta di diamante si è rivelato un flop elettorale, nonostante l'appoggio dei calendiani. Vecchi e nuovi si rinfacciano accuse. Gli ultimi arrivati, gli ex Fi, accusano i calendiani della prima ora: «Non possiamo essere un partito virtuale, tutta teoria e niente pratica». Tradotto: serve radicamento sul territorio e gente con i voti. Basta con il partito dei pariolini. Mara Carfagna, l'ex ministro arrivata dopo nel progetto di Calenda, getta acqua sul fuoco e nell'intervista al Messaggero fissa alle europee il prossimo orizzonte per fare un bilancio. Però, nella base comincia a serpeggiare la paura: «Con questi dati non centriamo la soglia di sbarramento fissata al 4%». Timori che possono innescare una fuga. Aldo Patriciello, europarlamentare di Fi dato in avvicinamento al Terzo Polo, ha già ingranato la retromarcia. Calenda cerca di placare le fibrillazioni. Ma soprattutto le tentazioni di una parte di abbandonare il progetto del partito unico. Nell'analisi post voto il leader di Azione se la prende con gli elettori: «Avete tutti scritto che la Moratti era la candidata perfetta per la Lombardia. Il Lazio con un ottimo candidato e coalizione è andato peggio. Sono trent'anni che votiamo e siamo scontenti di chi votiamo. Sostengo da sempre che votiamo per ragioni sbagliate: appartenenza e moda. E basta guardare l'astensione per capirlo. È la ragione per cui abbiamo fondato Azione. Se stamattina volete sostenere che il voto a Fontana è basato sui risultati del buon governo, fatelo. Gli elettori decidono ma non hanno sempre ragione. Altrimenti non saremmo messi così».

Sul futuro del Terzo Polo, Calenda non vuole rinunciare al modello macroniano: «Un'alleanza strutturale con il Pd? Assolutamente no perché sennò sarei rimasto nel Pd.

Il nostro progetto non è distruggere il Pd ma mettere insieme un centro liberale e popolare e diventare il perno di coalizioni che da sole non riescono a governare». In direzione si trova una tregua per andare avanti. Ma c'è l'amara certezza: il Terzo Polo non decolla.

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