«Calenda ha un complesso d'inferiorità». Clemente Mastella, sindaco di Benevento e leader di Noi al Centro, risponde per le rime al fondatore di Azione che ha posto il veto sul suo nome durante la convention di Giovanni Toti.
Perché Calenda ha tanta acredine nei suoi confronti?
«Ricordo che quando lui lavorava per il Cis di Nola, io gli davo le raccomandazioni. Lui ha sempre questa sorta di spocchiosità pariolina. È come un piccolo Trump pariolino che pensa di essere meglio di tutti gli altri. Una strategia politica che lo porta a essere sconfitto permanentemente».
Ci spieghi meglio...»
«Fu candidato con Monti e non fu eletto. Poi fu recuperato da Renzi contro il quale sprizza veleni e, infine, fu eletto al Parlamento europeo col Pd e ha lasciato il Pd. Ha una sorta di coerenza-incoerenza per cui per sé stesso non vale l'incoerenza, vale solo per gli altri».
Eppure a Roma ha ottenuto un buon risultato...
«Sì, è arrivato terzo. È come quando uno partecipa alle corse ciclistiche e non arriva mai primo. Non vince mai...».
Perché lo ha definito la quinta colonna del populismo?
«Perché se tu metti insieme tutti quelli che sono andati con i populisti e realizzi una condizione di parentela politica particolare, è chiaro che vincono gli altri dove c'è un populismo accentuato».
Ma il centro può davvero tenere insieme Renzi, Calenda, Di Maio e Mastella?
«Se uno volesse realizzare una trasposizione dalle parole al dato reale dovrebbe tenere insieme tutto attraverso una forma federativa».
Non c'è il rischio di creare una sorta di riedizione dell'Unione?
«Certo, ma l'ultima volta che ha vinto il Pd in Italia era il 2006 quando c'era quella compagine. Dopo, non ha mai più vinto le elezioni. Ovviamente si deve stabilire in partenza il modo di comportarsi».
Italia al centro, Noi di centro, Azione e Italia Viva. Quattro o più partiti che si dichiarano tutti di centro non sono troppi?
«Per me, in questa coalizione, andrebbe bene se ci fosse anche Forza Italia che oggettivamente è di centro. Detto questo, è chiaro che si deve iniziare con una formula federativa come la Margherita e, poi, farne uno solo».
Lei però non aderì alla Margherita...
«Io ho evitato il più grande dramma della storia politica italiana degli anni, ossia congiungere i destini dell'area ex comunista con quella ex democristiana. E, infatti, oggi il Pd fa una fatica immensa ad arrivare al 20%. All'epoca, invece, Margherita e Pds arrivavano al 30%. Poi, nel Pd capitava che se vinceva uno della ditta, gli altri gli erano contro. Se vinceva Renzi, gli altri gli erano contro. E, quindi, che senso ha avuto quel partito?».
Forza Italia è un partito di centro. Non sarebbe meglio rafforzare il progetto del Cavaliere?
«Oggi, Forza Italia, col suo 8-10%, sarebbe il primo partito dello schieramento di centro e avrebbe una valenza enorme. Di là, invece, è minoritario diversamente da quanto avveniva prima quando a guidare la coalizione c'era il Cavaliere, che era di gran lunga più moderato di questi che ci stanno ora e che si fanno la guerra per vedere chi arriva primo».
Ma, quindi, c'è spazio per un polo di centro anche con questa legge elettorale?
«Si deve partire, rischiare, definire la formula dello stare insieme e poi presentarsi alle elezioni indipendentemente dalla legge elettorale. Non si può decidere all'ultimo momento».
Ma
poi, con chi si dovrebbe alleare il centro?«L'idea del centro un po' guardone che guarda un po' di là e un po' di qua non mi piace. Io sto nel mio, poi valuto a seconda delle proposte politiche e dei programmi».
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