Il cambio della guardia? È sempre un far west

Clinton spaccò tutto, Buchanan scatenò una guerra, Roosevelt fece sparire il rivale

Il cambio della guardia? È sempre un far west

Sembra facile andare via di Casa soprattutto se è quella Bianca. Lasciare le vecchie abitudine, portare via la roba, specie se dopo quattro anni il padrone di casa, cioè i Grandi elettori, non ti hanno rinnovato l'affitto. E magari stai pure antipatico all'inquilino che arriva. A dire la verità la gentilezza istituzionale, la cavalleria che apre la porta al nuovo venuto e lo guida tra corridoi e stanze ovali, fa parte più dell'educazione personale che della tradizione americana. Per gran parte della storia degli Stati Uniti, le transizioni presidenziali, che non prevedono per forza un passaggio di consegne rituale, non sono mai state facili, alcune persino catastrofiche. Trump quindi è più o meno nella norma. Harry Truman, gentilissimo, invitò il suo successore Ike Eisenhower alla Casa Bianca e il suo entourage completò le procedure di transizione a tempo di record. Otto anni dopo invece John Fitzgerald Kennedy decise di incontrare Eisenhower due mesi dopo le elezioni. Non c'era nessuna fretta.

Il repubblicano Mitt Romney, non si sa se più previdente o per nulla scaramantico, la procedura la preparò prima ancora di candidarsi alla Casa Bianca con incorporata persino l'agenda di governo per i primi 200 giorni di governo. Ovviamente perse. Obama, che lo sconfisse, invitò il giorno dopo le elezioni 2016 Trump al 1600 di Pennsylvania Avenue per «seguire l'esempio dell'amministrazione Bush che non avrebbe potuto essere più professionale e più gentile nel garantire il cambio della guardia». Rarità.

La peggiore fu quella tra James Buchanan e Abramo Lincoln. Un mese prima della consegna sette Stati si ammutinarono e Buchanan considerò una scorrettezza intervenire al posto del successore. Così la Guerra di Secessione si scatenò un mese dopo il giuramento di Lincoln. Herbert Hoover e Franklyn Delano Roosevelt invece si odiavano e quando al passaggio di consegne, in piena Grande Depressione, il primo si offrì di collaborare con il secondo il no fu secco. All'uomo più odiato d'America Roosevelt non mandò mai nemmeno gli auguri di Natale della Casa Bianca.

Difficile fu anche la consegna tra Bill Clinton e George W. Bush dopo la lunga battaglia elettorale e legale in Florida. Bush era molto nervoso e la presenza glaciale di Al Gore, lo sconfitto, rovinò persino il giorno del giuramento. Per non farsi mancare niente lo staff di Clinton sabotò le tastiere dei computer togliendo la lettera «W», quella del secondo nome di George Walker Bush. Imbrattarono i bagni, incollarono i cassetti e portarono via le maniglie delle porte. I Clinton furono anche accusati di essersi portati via i regali destinati alla Casa Bianca. negarono ma pagarono il conto lo stesso: 85mila dollari. Curioso Lyndon Johnson che portò il Richard Nixon nel suo appartamento privato mormorando con aria di cospirazione: «Devo farti vedere qualcosa». Nella camera da letto Johnson gli mostrò una piccola cassaforte nascosta nella parete. A cosa servisse non si sa, ma faceva molto Watergate.

Comico Franklin Pierce, il 14° presidente, che si accorse solo dentro Casa che la servitù se n'era andata senza avergli preparato il letto. Vagò per i corridoi con la candela in mano prima di trovare una branda. Woodrow Wilson invece si scoprì senza pigiama e inutile fu la perquisizione minuziosa di tutte le valigie. Rutherford Hayes in Casa trovò la first lady precedente, Julia Grant, che preparava la cena. Con grazia fu accompagnata alla porta. Anche Nancy Reagan si aggirò per casa nervosa fino all'ultimo giorno convinta di aver dimenticato qualcosa. La portò via l'assistente: «Se ha dimenticato qualcosa, sanno dove spedirglielo...»

Reagan, il marito, lasciò su un pezzo di carta il suo

«buona fortuna» scritto a mano a George Bush padre che usò la stessa cortesia a Clinton. Quando arrivò Bush figlio trovò il biglietto del padre lasciato da Clinton. Non si sa ancora oggi se per tenerezza o per sfotterlo.

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