Dal vietato vietare dei sessantottini al vietato querelare della sinistra del 2024. Per i progressisti un intellettuale può marchiare un politico come «neonazista» senza correre il rischio di beccarsi una querela per diffamazione. È la cronaca. È quello che sta accadendo in questi giorni con la sollevazione di giornalisti, associazioni e professori universitari contro la premier Giorgia Meloni, colpevole di avere querelato Luciano Canfora, che l'aveva dipinta come una nipotina di Adolf Hitler durante un incontro in un liceo di Bari, ad aprile del 2022. Ma c'è di più.
Canfora insiste e non fa un passo indietro. In vista del processo per diffamazione, che comincerà il 16 aprile, il professore in un'intervista a La Stampa rivendica le sue parole. «La mia è semplicemente una valutazione politica, e come tale non decade, è oggettiva», insiste lo storico e filologo comunista. Che si lancia in un'analisi spericolata sulle radici politiche della premier: «Meloni discende dal Msi, un partito che si riferiva alla storia della Repubblica sociale, cioè a uno stato satellite del Terzo Reich». Canfora offre un antipasto di quella che sarà la sua strategia difensiva, a dire il vero piuttosto involuta: «Il prefisso neo serve proprio a indicare che una persona viene da un nucleo originario da cui poi si è evoluta. Aggiungo un dettaglio che forse è sfuggito: nell'animo è una citazione da Tocqueville, che ammette che il suo animo è contrario alla democrazia».
Quindi lo svelamento. «Se le dessero dello stalinista avrebbero ragione?», chiede il giornalista. Ecco la risposta: «Ne sarei contentissimo, perché lo sono». Poi c'è il soccorso all'intellettuale. Con una convinzione: Meloni dovrebbe ritirare la querela. Lo scrive Massimo Gramellini, sul Corriere della Sera. Gramellini è convinto: «Da una presidente del Consiglio ci si aspetta che rinunci a trascinarsi dietro le vecchie querele, così come a farne di nuove». Infatti l'episodio risale a quando Meloni era all'opposizione. E c'è un dettaglio non trascurabile. Canfora si era riferito all'allora leader di Fdi come «neonazista nell'animo», perché «si è subito schierata con i neonazisti ucraini». E pazienza se, come ha ricordato ieri Il Foglio, «il capo dei neonazisti ucraini sarebbe l'ebreo Volodymyr Zelensky». Eppure anche Mattia Feltri, su La Stampa, si è espresso contro la querela di Meloni.
Dadaista la vicinanza a Canfora della professoressa della Sapienza Donatella Di Cesare. Una che nelle scorse settimane aveva omaggiato su Facebook la brigatista rossa Barbara Balzerani. Ancora più scontato l'appello di solidarietà promosso da circa trenta associazioni tra cui l'Anpi, l'Arci e la Cgil. Per i firmatari la denuncia della premier sarebbe «un attacco alla libertà di pensiero». Stessa critica mossa a proposito della querela della presidente del Consiglio a Roberto Saviano, che l'aveva definita «bastarda» e infatti è stato condannato. Anche lì appelli e mobilitazioni. Con lo scrittore che aveva alzato l'asticella dello scontro, parlando dell'esposto di Meloni come di «una minaccia per tutti». Veementi le polemiche contro una presunta deriva autoritaria del centrodestra di governo. E Saviano si era presentato in tribunale con tanto di «scorta mediatica di solidarietà» formata, tra gli altri, dalla compagna di Elly Schlein Paola Belloni e dalle scrittrici Michela Murgia e Teresa Ciabatti. Senza dimenticare Riccardo Noury, portavoce di Amnesty. Toni simili c'erano stati quando la premier aveva denunciato il giornale Domani per un articolo di ottobre 2021. Dopo la conferma della querela il quotidiano edito da Carlo De Benedetti aveva titolato così: «Meloni manda Domani a processo. Il potere attacca la stampa libera».
E ora c'è Canfora, che non fa marcia indietro: «Ridirei a Meloni che è una
neonazista». La prossima puntata sarà in Tribunale, dove lo storico sarà assistito dall'avvocato Michele Laforgia, in corsa per essere il candidato del centrosinistra a sindaco di Bari alle amministrative del prossimo 9 giugno.
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