Caos e morti, narco-golpe in Ecuador

Evade il re della droga "Fito", il Paese in mano alle bande. Dichiarato il "conflitto interno armato"

Caos e morti, narco-golpe in Ecuador
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L'Ecuador è l'esempio più recente di ciò che accade quando un paese è travolto dal traffico di droga e dalla criminalità dei cartelli. Per capire quanto velocemente la crisi che scuote il paese sudamericano si sia intensificata negli ultimi giorni, basti ricordare che il presidente Daniel Noboa è passato dal decretare lo stato di emergenza a dichiarare che il paese è alle prese con un «conflitto armato interno» in meno di 24 ore, tra lunedì e martedì.

La decisione del 36enne, in carica da 40 giorni e che tra un anno lascerà la presidenza, è stata obbligata. L'altroieri abbiamo visto tutti, in video che hanno fatto il giro del mondo, come una gang di criminali ha occupato un canale televisivo in diretta, armi in pugno, come gli studenti dell'Università di Guayaquil si sono barricati nelle aule per mettersi al sicuro dai narcos che avevano fatto irruzione nel campus mentre altri delinquenti forzavano le porte del principale ospedale della città.

Scene degne di una serie di Netflix, al pari dell'evasione dal carcere Litoral, avvenuta domenica scorsa, di alias «Fito», il leader del cartello Choneros. All'anagrafe si chiama Adolfo Macías Villamar ed è il franchiser locale del cartello messicano di Sinaloa. Questo 44enne criminale aveva minacciato di uccidere Fernando Villavicencio appena un mese prima che l'unico vero candidato anti-narcos venisse ucciso. Per la cronaca, tutti e sei gli scagnozzi coinvolti nel suo omicidio (cinque colombiani e un venezuelano) dopo essere stati arrestati, sono stati uccisi (forse) in carcere poco dopo. Se mai serie Netflix ci sarà, non potrà non riportare le parole pronunciate da Noboa la settimana scorsa in un'intervista: «Abbiamo un bel piano per la sicurezza, il Fenix, ma non ditelo a Fito», aveva dichiarato sorridendo. Il risultato è che quando, all'alba di domenica, il «capo dei capi» (lo chiamano anche così) doveva essere trasferito in un carcere di massima sicurezza, era già uccel di bosco.

In un'azione chiaramente concertata, i narcos avevano nel frattempo preso il controllo completo delle sei principali prigioni dell'Ecuador, sequestrando almeno 139 agenti penitenziari. Al momento in cui andiamo in stampa tre di loro sono stati rilasciati, uno ucciso (il video dell'esecuzione, orribile, circola in rete) mentre 135 continuano a essere tenuti in ostaggio dai narcos, con le carceri circondate da un esercito che non sa che cosa fare, non volendo rischiare una carneficina.

Per rassicurare la popolazione, Noboa lunedì sera aveva dichiarato lo stato di emergenza ma, a quel punto, anche l'altro super boss Fabricio Colón Pico, alias «Il Selvaggio», leader de Los Lobos, gang che opera in franchising con il cartello messicano Jalisco Nueva Generación (Cjng), è scappato dalla prigione di Riobamba. Era stato arrestato meno di una settimana fa, aveva pure lui dato ordine di ammazzare Villaviencio e ora ha in programma di uccidere la procuratrice generale dell'Ecuador, la coraggiosa Diana Salazar, che aveva denunciato il piano del «Selvaggio» il 3 gennaio davanti alla Corte nazionale di giustizia durante un'udienza sul caso Metastasis. Un processo esplosivo che indaga sulla narcopolitica e la narcogiustizia in Ecuador. «Lo dico con nome e cognome. Adesso vieni e uccidimi», erano state le parole accalorate del capo della Procura.

Dopo l'evasione anche del Selvaggio e la guerra dichiarata dai narcos allo stato in numerosi video, Noboa ha dichiarato le principali 22 gang criminali ecuadoriane «organizzazioni terroristiche».

Il presidente ha ordinato alle forze armate di fare tutte le operazioni necessarie per neutralizzarle mentre il Parlamento ha offerto l'amnistia e l'indulto previo ai militari che uccideranno criminali. Le scuole sono chiuse fino al 12 gennaio e in strada a Quito circolano solo mezzi dell'esercito. Vedremo che succede ma, di certo, oggi l'Ecuador ricorda la Colombia di Escobar.

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