Il caos intercettazioni crea il "mercato nero"

L'allarme di Russo in Antimafia: l'85% dei report non è utilizzabile ma fa nascere il "suk" dei dati

Il caos intercettazioni crea il "mercato nero"
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Alle indagini di Raffaele Cantone su dossieraggi e accessi abusivi alle banche dati va aggiunto un mercato di dati «sommersi» che fa gola a chi vuole ricattare politici, vip e imprenditori, consumatori che chiedono diventi il più ricco possibile. Il quadro devastante lo fornisce in audizione (in parte secretata) alla commissione Antimafia Giovanni Russo (foto), oggi capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria con un passato nella Dna, ufficio al centro dei presunti dossieraggi orchestrati dall'ufficiale della Guardia di Finanza Pasquale Striano e dal suo superiore Antonio Laudati per favorire alcuni giornalisti, un presunto sodalizio su cui indaga la Procura di Perugia. «L'85% dei brogliacci è inutile per le indagini», è una massa che ha alimentato «un suk» su cui da molti anni si concentrano gli appetiti di «committenti italiani e stranieri», nascosto nei database della Direzione nazionale antimafia a cui avevano accesso indiscriminato ufficiali che non ne rispondevano, a fronte di un sistema che - vedi le ultime vicende, dall'hacker al dirigente di banca spione - fa acqua da tutte le parti.

«Che il sistema della Dna fosse un colabrodo l'ho letto solo in alcuni articoli - precisa Russo - anche l'attuale capo della Dna Giovanni Melillo ha preso le distanze da questa definizione, certo la situazione che ha trovato era insoddisfacente dal punto di vista della sicurezza informatica», ammette il numero uno del Dap, che dal 2017 avrebbe chiesto «una verifica dal punto di vista della tenuta della sicurezza della nostra banca dati», invocando anche al Csm e al ministero «un rafforzamento che poi Via Arenula non assicurò» fino all'arrivo di Melillo e della sua «impostazione securitaria più attenta».

Ma chi aveva accesso a queste banche dati? A chi facevano gola le famigerate Sos, le Segnalazioni di operazioni sospette che avevano acceso l'attenzione del Domani sugli affari del ministro della Difesa Guido Crosetto? Le incursioni avvenivano «in luoghi e su sistemi su cui la Dna non aveva né governo né controllo», dice Russo, che - rispondendo a una domanda della presidente Chiara Colosimo - punta il dito sul doppio ruolo di Striano, alla Dia ma anche in Guardia di Finanza, ma anche su Laudati, definito persona «qualificata, affidabilissima, considerata un pilastro nel contrasto antimafia» ipotizzando che fosse «il punto di riferimento per questo tipo di attività», a cui si rivolgeva l'allora Procuratore nazionale Federico Cafiero de Raho anche per i suoi rapporti diretti e consolidati proprio con la Gdf «come se mediasse per conto del Procuratore capo».

Striano era in un sottogruppo creato ad hoc sotto Laudati per matchare, incrociare le Sos con le indagini.

Dunque un ibrido, un ircocervo che rispondeva a Laudati, alla Dna ma anche al suo corpo di appartenenza che «interrompeva un virtuoso rapporto diretto tra analisti e Antimafia», Russo era «contrario alla presenza in Dna di soggetti con ruoli sovraordinati rispetto agli analisti dell'informazione», ci sono state «collaborazioni con ufficiali, colonnelli, maggiori e dirigenti di polizia» ma solo su singoli aspetti «senza accesso alla banca dati», limitata a otto analisti «per i dati lucchettati», cioè segreti.

«Mi sono premurato di negare gli accessi a Striano e ai suoi», ribadisce Russo. Chissà che cosa ne pensa Cantone.

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