Caos Pd-M5s, trappola Lega: il nuovo governo va all'asta

Parte dei dem spinge per l'accordo, Di Maio cincischia Salvini prova a sabotare il matrimonio ma è tardi...

Caos Pd-M5s, trappola Lega: il nuovo governo va all'asta

Di proposte e di boutade nella giornata più fatidica della crisi ne sono state dette tante. Unite a sabotaggi e lusinghe. Addirittura Di Maio si è sentito corteggiare da una parte e dall'altra: il Pd gli ha fatto balenare l'idea di prendere il posto di Matteo Salvini al Viminale nel prossimo governo giallorosso; mentre Salvini, che non ha inibizioni, ha rilanciato, ipotizzando con il Capo dello Stato la premiership per Giggino, tentativo estremo di bloccare la nascita di un governo che puntando, tra l'altro, sull'introduzione di una legge elettorale proporzionale, ridurrebbe di molto le sue ambizioni future.

E già, la «posta in gioco» è talmente alta che siamo arrivati all'asta. Solo che, al di là delle proposte del Pd e dei rilanci dal sapore strumentale della Lega, Di Maio ha tenuto coperte le sue carte, un po' perché non si fida, un po' perché scegliere pubblicamente una delle opzioni diminuirebbe la sua forza contrattuale con Zingaretti e Renzi, che restano i veri interlocutori dei 5 stelle per mettere in piedi un governo che eviti le elezioni. Un atteggiamento che ha irritato non poco il capo dello Stato, che in tutti gli incontri che ha avuto - specie con gli interlocutori della possibile maggioranza giallorossa - ha richiesto «chiarezza e rapidità»: due parole che sulla sua bocca si sono trasformate in un leit-motiv. «Debbo essere in grado di dire a chi vuole le elezioni, a cominciare da Salvini, è l'implorazione che ha fatto Mattarella ai suoi interlocutori che ci sono i numeri per mettere in piedi un governo vero, non un accordicchio».

Solo che neppure il capo dello Stato può esagerare nel dettare alla «crisi» di governo tempi troppo repentini. Anche perché altrimenti potrebbe tirarsi addosso qualche critica: se il suo predecessore Napolitano, infatti, è stato accusato in passato di manovrare troppo per far nascere governi dal nulla, Mattarella potrebbe essere criticato di bruciare i tempi per ucciderli nella culla. Così si è arrivato ad un supplemento di riflessione fino a martedì prossimo. Anche perché ognuno ha dato la sua interpretazione dei dieci punti programmatici che Di Maio ha illustrato dopo il colloquio con il presidente della Repubblica. I leghisti per aggiungere confusione a confusione, li hanno interpretati quasi come un decalogo elettorale. Nel Pd, invece, ognuno ha dato la sua interpretazione: Zingaretti, che continua ad essere diffidente, e magari ad accarezzare le urne, si è irrigidito perché Di Maio non ha detto apertamente di aver scelto il Pd, abbandonando il Carroccio al suo destino. «Il leader grillino ha ironizzato il segretario del Pd non ha ancora chiarito se vuole fidanzarsi con noi o se vuole riaprire la relazione con Salvini. In questa fase sarei portato pure a porgere l'altra guancia. Ma se non chiariscono da che parte vogliono andare è difficile mettere in piedi un governo: per ora ci sono il 50% di possibilità di riuscirci e 50% no».

Renzi, invece, si è mostrato molto più disponibile. «Secondo me ha confidato metà pomeriggio l'ex premier - Di Maio ha aperto. E penso che faccia fatica Mattarella a bloccare tutto adesso. I punti di Di Maio per ora possono bastare. Anche perché tutti i partiti, in un modo o nell'altro, sono pronti a fare un governo. Teoricamente potrebbe anche dare un incarico a Di Maio. Chi ha incasinato tutto? Quel mito di Gentiloni».

E arriviamo al punto: ieri è stata la giornata dei sabotatori. Il petardo lo ha lanciato Gentiloni nell'incontro con Mattarella al Quirinale. Il predecessore di Conte a Palazzo Chigi in questi giorni se ne era rimasto zitto zitto, ma tutti sapevano che il suo pensiero propendeva per le elezioni anticipate. Ieri nel colloquio con il capo dello Stato ha preso la parola inaspettatamente per dire che il taglio dei parlamentari non è roba da fare, lasciando di stucco i capigruppo del Pd, che gli erano accanto, Marcucci e Delrio. Zingaretti, invece, ha fatto finta di niente, non si sa se perché complice di Gentiloni o per distrazione. Ora uno per dar vita ad un governo con i grillini può chiedergli tutto, ma proprio tutto, meno di rinunciare al taglio del parlamentari: è l'argomento principale, la condizione «sine qua non» con cui Di Maio, infatti, può motivare di fronte alla base del movimento un cambio di maggioranza dalla Lega al Pd. Tant'è che ieri pomeriggio Zingaretti ha dovuto precipitosamente precisare un'indiscrezione che lo vedeva schierato sulle posizioni di Gentiloni. Delrio, invece, ha legato l'introduzione della riduzione dei parlamentari con un cambio della legge elettorale proporzionale: parole d'oro per i grillini che hanno sempre messo in relazione le due cose. Il «petardo» di Gentiloni, però, ha aumentato la diffidenza di Di Maio, che ha subordinato l'alleanza con il Pd ad un incontro preventivo per arrivare ad un'intesa sul taglio dei parlamentari. E, sull'altro versante, ha dato modo a Salvini di tentare di rientrare nel gioco: «Noi siamo pronti a non far mancare alla Camera il nostro appoggio sull'ultimo voto che introduce la riduzione dei parlamentari».

Da qui l'asta, che, pero, è solo virtuale. «Salvini ha spiegato Di Maio ai suoi è terrorizzato , ma noi non ci possiamo più fidare di lui». Solo che in questo modo il leader della Lega, questo era il suo obiettivo principale, ha ridato argomenti a quella decina di grillini, da Buffagni alla Taverna, che non vedono di buon occhio l'intesa con il Pd. Un'operazione di disturbo che difficilmente porterà a qualcosa: Grillo e Casaleggio hanno già benedetto il cambio di alleanza. Quindi, anche se faticosamente, la trattativa sul governo giallorosso va avanti. C'è da vedere cosa si inventeranno ancora «i sabotatori», anche se pure loro corrono rischi da non trascurare: ormai sull'intesa con i 5 stelle si sono spostati tutti i maggiorenti del Pd, da Franceschini a Delrio, da Orlando a Renzi, da Prodi a Veltroni. E l'insofferenza sull'atteggiamento, per alcuni versi ambiguo, di Zingaretti, comincia a lievitare. «Il segretario non ha capito si infervora Enrico Borghi, deputato del nord del Pd che se si va ad elezioni e si perde, il primo a cadere è lui. In più si assumerà la responsabilità di aver permesso una svolta autoritaria nel Paese».

Mentre il bolognese Gianluca Beneamati se la prende direttamente con Gentiloni: «Tirare in ballo la riduzione dei parlamentari è l'espediente più coglione e scoperto per sabotare il governo con i grillini. Chi lo fa è miope, non si rende conto della posta in gioco».

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