Il capo dello Stato interviene sullo scandalo delle intercettazioni dei magistrati. E condanna con durezza la "degenerazione delle correnti"

"Sconcertato»" ma stavolta è un eufemismo, perché Sergio Mattarella è davvero infuriato.

Il capo dello Stato interviene sullo scandalo delle intercettazioni dei magistrati. E condanna con durezza la "degenerazione delle correnti"

«Sconcertato»: ma stavolta è un eufemismo, perché Sergio Mattarella è davvero infuriato. «La degenerazione del sistema delle correnti nel Consiglio superiore», scrive il Quirinale in una lunga nota, «è emersa in tutta la sua evidenza» e provoca «riprovazione». La «commistione tra politici e magistrati» è diventata «inammissibile» e ha superato il limite di guardia. «Rispetto e credibilità» sono «incrinati», quanto poi ai disinvolti rapporti tra i due mondi, «bisogna impedire questo costume». Il Csm insomma è un completo disastro e «urge» una riforma del regolamento interno, però il capo dello Stato non lo scioglierà. Non può farlo «a discrezione personale» o su richiesta, spiega, perché non ci sono le condizioni, non sono scaduti i quattro anni previsti e non manca il numero legale. E non può nemmeno intervenire nel dibattito di queste ore, ad esempio sulle frasi di Giovanni Palamara, ex presidente della Amn, contro Matteo Salvini: «per quanto gravi è inaccettabili possano essere considerate», sulla vicenda «sono in corso procedimenti disciplinari» che un giudizio pubblico di Mattarella potrebbe far saltare.

Toni alti, accuse varie, polemiche che montano e cosi il Colle decide rompere il silenzio che si era imposto. Il capo dello Stato è infastidito, trascinato suo malgrado in una bolgia dalla quale voleva restare fuori. Comincia perciò facendo innanzitutto un po' di storia e ricordando che già un anno fa, nel giugno 2019, il presidente «espresse con fermezza nella sede propria», cioè a Palazzo de' Marescialli, «il grave sconcerto» per quanto stava accadendo. Mattarella all'epoca sollecitò «modifiche profonde delle nome di comportamento» e chiese al Parlamento di approvare in fretta «un'adeguata riforma delle regole di formazione del Csm». Un intervento ritenuto necessario «per restituire prestigio e onore alla magistratura», secondo le regole della Costituzione. Ma nulla è stato fatto.

Un anno dopo la situazione è uguale, anzi è peggiorata. La «degenerazione», come dimostra il caso Palamara, si è aggravata, gli scandali si sono allargati, però il capo dello Stato al momento non ha grandi spazi di manovra. «Il Consiglio superiore - si legge - a norma della Carta conclude il suo mandato dopo quattro anni dalla sua elezione e può essere sciolto in anticipo soltanto in presenza di una oggettiva impossibilità di funzionamento», come ad esempio la mancanza del numero legale. Ma l'attuale parlamentino delle toghe, precisa il Colle, «che si è rinnovato in parte nella sua composizione, non si trova in questa condizione ed è impegnato nella sua attività istituzionale».

Piaccia o meno, la situazione è questa. Inutile, fa sapere il Quirinale, chiedere che il presidente prenda cappello e mandi tutti a casa subito: anche volendo, non ci sono gli appigli giuridici. Qualcosa, parecchio, invece può farla il Parlamento. Dopo un anno lasciato passare invano, soltanto adesso, sull'onda mediatica della diffusione della chat private di Luca Palamara, le Camere stanno infatti pensando ad introdurre dei correttivi, degli aggiustamenti per spezzare le logiche e il potere delle correnti interne, come il sistema del doppio turno con il ballottaggio per la scelta dei componenti del Csm, o altri accorgimenti per frenare quello che Mattarella definisce «malcostume».

Ma siamo ancora alla casella uno, ai preliminari, la strada per una riforma condivisa appare lunga e difficili. Così il capo dello Stato, chiamato - secondo lui impropriamente - in causa dalla politica, ora vuole mettere la politica in mora, con le spalle al muro. Visto che «diversi partiti si sono detti favorevoli a criteri nuovi» e «hanno annunciato iniziative», ebbene, dice Mattarella, basta chiacchiere e propaganda, si diano da fare e approvino una riforma. Il presidente aspetta e «valuterà la conformità alla Costituzione del testo approvato». E forse dovrà aspettare ancora parecchio. Intanto, che fare? Un messaggio alle Camere? No, sarebbe «improprio», fuori dal seminato delle competenze del Colle.

Dovranno attendere pure tutti quelli, da Salvini a Meloni, che negli ultimi giorni hanno reclamato un intervento diretto del capo dello Stato sul caso del giorno. Certo, Palamara avrà pure fatto «affermazioni gravi e inaccettabili», tuttavia sulla vicenda pendono procedimenti interni e cause varie, per cui «qualunque valutazione da parte del presidente della Repubblica potrebbe essere strumentalmente interpretata come una pressione del Quirinale su chi è chiamato a giudicare in sede penale o disciplinare».

In altri termini, Mattarella è anche presidente del Consiglio superiore della magistratura, cioè guida formalmente l'organo costituzionale che si dovrà esporre su Palamara, e un suo commento potrebbe inficiare l'efficacia del procedimento aperto contro l'ex numero uno dell'Associazione magistrati. Lo aiuterebbe, e sarebbe davvero un paradosso.

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