New York. L'obiettivo alla Cop26 di Glasgow era di «consegnare il carbone alla storia», e qualche passo avanti è stato fatto, pur se si tratta di progressi decisamente ridimensionati rispetto alle attese. Al summit sul clima in Scozia oltre 40 Paesi hanno trovato l'accordo su un impegno storico, quello di eliminare del tutto l'utilizzo del carbone per la produzione di energia elettrica prima del 2050. Impegno a cui però non hanno aderito i principali utilizzatori del combustibile fossile come Stati Uniti e Cina, ma anche Russia, India e Australia. L'eliminazione graduale del carbone secondo l'accordo sarà nel decennio del 2030 per le principali economie, e in quello del 2040 per i Paesi in via di sviluppo. Tra le nazioni che hanno sottoscritto l'impegno ci sono Polonia, Cile, Canada, Vietnam e Ucraina, oltre 100 istituzioni finanziarie e altre organizzazioni internazionali. Il governo britannico, copresidente insieme all'Italia della Cop26, ha salutato l'intesa come «un momento fondamentale nei nostri sforzi globali per affrontare il cambiamento climatico». «La fine del carbone è in vista», ha commentato il ministro britannico per le Imprese, Kwasi Kwarteng. Molti osservatori, tuttavia, sostengono che l'obiettivo cruciale di mantenere il riscaldamento globale entro gli 1,5 gradi verrà mancato finché i maggiori inquinatori si rifiuteranno di firmare. Per quanto riguarda Washington, nonostante la volontà di Joe Biden di presentare l'America a Glasgow come leader nella lotta al cambiamento climatico, gli analisti hanno letto la scelta come un tentativo di non inimicarsi i rappresentanti in Congresso degli stati ancora legati al carbone, vista la difficoltà che il presidente sta attraversando per mettere a segno risultati nella sua agenda economica e sociale. Un altro impegno sottoscritto in Scozia, in questo caso anche dagli Usa, riguarda l'interruzione dei finanziamenti pubblici per progetti di combustibili fossili all'estero entro la fine del 2022: i firmatari sono 20 paesi, tra cui Italia, Regno Unito e Canada. Non ci sono però i principali stati asiatici responsabili della maggior parte di tali finanziamenti all'estero. L'impegno riguarda tutti i combustibili fossili inclusi petrolio e gas, andando oltre quello assunto quest'anno dai paesi del G20 di fermare i finanziamenti all'estero per il solo carbone. Sono previste comunque esenzioni in circostanze «limitate» non specificate, che devono essere coerenti con l'obiettivo dell'accordo di Parigi di limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi. E un altro passo avanti è stato lanciato da Unione Europea e Stati Uniti, con l'adesione di 103 Paesi: si tratta dell'impegno storico per ridurre le emissioni del potente gas serra metano, il secondo maggiore contributore al cambiamento climatico dopo l'anidride carbonica. Una mossa che potrebbe prevenire il riscaldamento globale di 0,2 gradi Celsius. I firmatari - tra cui anche i principali emettitori come Nigeria e Pakistan - cercheranno di ridurre entro il 2030 le emissioni globali di metano del 30 per cento rispetto ai livelli del 2020. «Dobbiamo agire ora, non possiamo aspettare il 2050. Bisogna ridurre rapidamente le emissioni - ha spiegato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen -. Ridurre le emissioni di metano è una delle cose più efficaci che possiamo fare per ridurre il riscaldamento globale a breve termine». Mentre Biden ha affermato che «ciò che facciamo in questo decennio avrà un impatto sulla possibilità o meno di rispettare il nostro impegno a lungo termine». E «una delle cose più importanti che possiamo fare per mantenere gli 1,5 gradi a portata di mano è ridurre le nostre emissioni di metano il più rapidamente possibile».
Il metano, infatti, è molto più potente ma ha anche una vita più breve dell'anidride carbonica: il suo effetto di riscaldamento maggiore è nell'arco di due decenni, mentre l'anidride carbonica rimane nell'atmosfera per centinaia di anni. Ciò significa che una riduzione del gas ora può avere un effetto relativamente rapido sulle temperature globali.
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