Strasburgo - Una decisione «draconiana» presa da un Parlamento trasformato In un «anfiteatro romano con gladiatori» dove la sorte di un uomo veniva decisa «con il pollice verso»: è una immagine forte quella cui ricorre Edward Fitzgerald per descrivere ai giudici della Corte di Strasburgo il clima in cui avvenne nel novembre 2013 la cacciata di Silvio Berlusconi dal Senato italiano. E nei loro interventi di ieri mattina Fitzgerald e i suoi colleghi - gli italiani Andrea Saccucci e Bruno Nascimbene - hanno indicato uno per uno i numerosi elementi che dimostrano come quel voto sia stato effettivamente un atto di prevaricazione politica messo in atto dalla maggioranza ai danni del leader dell'opposizione.
COME NASCE LA «SEVERINO»
Anche il percorso seguito in Parlamento dalla norma che ha portato alla decadenza di Berlusconi è finito al centro dell'udienza e delle domande dei giudici. Maria Giulia Casinini, l'avvocato del governo italiano, ha sostenuto che non si tratta di una legge «ad personam» perché venne avviata nel 2010 dal governo dello stesso Berlusconi e venne votata dal Parlamento quasi alla unanimità. In realtà, hanno sostenuto i legali del leader di Forza Italia, a provocare l'esclusione di Berlusconi dal Senato non fu la legge approvata dal Parlamento ma il decreto attuativo emesso successivamente dal governo, e questo potrebbe convincere la Corte che sia stata una operazione politica. Forza Italia, ha spiegato Saccucci, aveva effettivamente votato la legge delega, ma questa non prevedeva alcuna disposizione specifica sulla durata del periodo di ineleggibilità ne sulla decadenza dal mandato.
LA LEGGE E LE ELEZIONI
I difensori hanno spiegato che la legge venne approvata nel dicembre del 2012 e firmata dal Capo dello Stato a cavallo delle festività. Ma questa firma avvenne dopo che era stato avviato l'iter per le elezioni della primavera successiva. In pratica, secondo i legali, le regole del processo elettorale venne modificato a partita già in corso, alterando la regolarità del confronto democratico.
LA SANZIONE RETROATTIVA
È fin dall'inizio uno dei cavalli di battaglia di Berlusconi. Ieri i suoi avvocati hanno ribadito che la sanzione della incandidabilitá prevista dalla «Severino» è addirittura più severa della interdizione dei pubblici uffici prevista dal codice penale, visto che può arrivare fino a tredici anni. Si tratta dunque a tutti gli effetti di una pena accessoria, per sua natura inapplicabile a fatti avvenuti prima della sua promulgazione. «Questo - ha spiegato Fitzgerald - viola palesemente l'articolo 7 della Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo».
LA FORMA E LA SOSTANZA
A prendere di petto la linea di difesa del governo sul tema della Severino è stato anche Bruno Nascimbene, ordinario di diritto comunitario alla Statale di Milano. «Il governo italiano - ha spiegato - in questa udienza ha sostenuto che la norma non prevede una sanzione penale ma solo la perdita di un requisito di eleggibilità. Sono sicuro che la Corte prenderà una decisione diversa coerente con la sua giurisprudenza». E ha richiamato i giudici a una interpretazione sostanziale e non formale della Convenzione dei diritti dell'Uomo, «che non consente, qualunque sia l'etichetta posta su una norma, di aggirare artificiosamente il principio che impedisce di punire con due norme diverse lo stesso fatto».
LA DISPARITÀ DI TRATTAMENTO
A sollevare il tema in udienza è stato il giudice portoghese Paulo Pinto. Contro la incandidabilitá stabilità dalla Severino per i condannati non è possibile alcun tipo di ricorso giudiziario, mentre per le dichiarazioni di ineleggibilità - sanzione più lieve nei contenuti e nella durata - si può ricorrere al giudice civile. Questo potrebbe confliggere con i principi di ragionevolezza e di uguaglianza fissati dalla Convenzione.
IL CASO MINZOLINI
A dimostrare l'arbitrarietà della espulsione di Berlusconi sarebbe il confronto con il caso di Augusto Minzolini, il senatore di Forza Italia di cui nella primavera scorsa il Senato ha deciso di respingere la decadenza dal seggio. «Il governo non sa spiegare il perché di questa differenza di trattamento» ha detto ancóra Fitzgerald. «Vuol dire che le norme non sono chiare, e se la norma non è chiara esiste un rischio di abuso. Ogni governo, ogni maggioranza potrà privare un rappresentante del suo mandato. Questo è incompatibile con lo stato di diritto». Ha aggiunto Saccucci: «I due casi sono perfettamente sovrapponibili ma Minzolini ha potuto proseguire il suo mandato».
IL VOTO DEL SENATO
È uno dei temi introdotti più di recente nel caso: il voto con cui l'assemblea di Palazzo Madama dichiarò Berlusconi decaduto dalla carica avvenne a scrutinio palese e non segreto, come invece prevede il regolamento parlamentare nei casi in cui si affrontano vasi personali. In questo modo, dicono i legali, venne impedito ai parlamentari di esprimere la loro convinzione sulla fondatezza della mozione. L'avvocato del governo ha replicato che la norma sul voto segreto riguarda in realtà altri «casi personali» come l'elezione del presidente della Repubblica o dei giudici della Corte Costituzionale, e che la mozione su Berlusconi venne votata in modo palese per garantire la «trasparenza». «Il Senato ha deciso che i principi di trasparenza e responsabilità chiesti dalle organizzazioni internazionali dovessero portare al voto segreto».
UNA DECISIONE GIÀ PRESA
Rispondendo alla domanda di uno dei giudici, Nascimbene ha spiegato perché Berlusconi scelse di non essere presente alla seduta della Giunta in cui venne approvata la sua decadenza, poi ratificata dall'aula.
«Nei giorni precedenti i membri di maggioranza della Giunta avevano già dichiarato su internet che avrebbero votato contro di lui. Essere presente a quel punto era del tutto inutile». Per i legali è un'altra prova della natura tutta «politica» del voto sul Cavaliere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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