Caso Mollicone senza colpevoli. Altra assoluzione per i Mottola

La sorella della 18enne uccisa: "Questa non è giustizia". L'ex comandante contro i cronisti: "Incubo causato da voi"

Caso Mollicone senza colpevoli. Altra assoluzione per i Mottola
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Consuelo Mollicone ci aveva sperato che dopo 23 anni i giudici le dicessero chi ha ucciso sua sorella Serena, trovata morta a 18 anni in un boschetto ad Arce, in provincia di Frosinone, il primo giugno del 2001. Invece quello di Serena Mollicone sembra destinato a rimanere un delitto senza colpevoli. Una vicenda costellata di errori giudiziari, depistaggi, false indagini e un suicidio, quello del brigadiere Santino Tuzi, una settimana dopo aver dichiarato che Serena era entrata in caserma il giorno della sua scomparsa.

«Questa non è giustizia», commenta Consuelo dopo la conferma dell'assoluzione dell'ex comandante della caserma locale dei carabinieri, Franco Mottola, di sua moglie Anna Maria e del figlio Marco, imputati di concorso in omicidio volontario. Per il primo l'accusa aveva chiesto una condanna a 24 anni di reclusione, a 22 anni per gli altri due familiari. Assolti anche i carabinieri Francesco Suprano e Vincenzo Quatrale. La sentenza della Corte di Appello di Roma, arrivata dopo tre ore di camera di consiglio, è accolta da un silenzio irreale. Dalla lettura del dispositivo si capisce subito che sono tutti assolti come in primo grado. Per i Mottola è la fine di un incubo. Abbracciano commossi gli avvocati, piangono. «Giustizia è stata fatta», commenta incredulo l'ex comandante della stazione dei carabinieri di Arce, il figlio non riesce a trattenere le lacrime. Poi, uscendo dall'aula, papà Mottola se la prende con i giornalisti: «È colpa vostra, lo avete creato voi questo incubo. Ho sempre detto che non c'entravamo niente». Accanto a Consuelo, ovviamente amareggiata dalla decisione dei giudici, non c'era papà Guglielmo, morto nel maggio del 2020 dopo aver dedicato gli ultimi anni della sua vita a cercare di fare emergere la verità, ma lo zio Antonio, che anche adesso non ha nessuna intenzione di arrendersi: «Ho il dovere di fare in modo che emerga la giustizia per Serena perché fino ad ora non è ancora emersa». Grande soddisfazione nel pool difensivo dei Mottola. «La giustizia in Italia ha una caratteristica: è lenta ma poi arriva. E in questo caso è arrivata due volte», dice l'avvocato Francesco Germani, storico difensore della famiglia. «È stata una sentenza molto puntuale, non c'erano i margini per una condanna. Sul cadavere della povera vittima c'erano decine di impronte digitali che non sono riconducibili agli imputati e lo abbiamo ribadito anche in sede di replica. Non si poteva che pervenire a una conferma della sentenza di primo grado», aggiunge il collega Mauro Marsella.

Nel ricorso della Procura, invece, la condotta dei Mottola è stata definita «spietata» e la figura del brigadiere suicida centrale. Per l'accusa Marco Mottola avrebbe fatto sbattere la testa della ragazza contro una porta della foresteria della caserma. Dopo nessuno avrebbe mosse un dito. Serena non sarebbe stata soccorsa, ma lasciata morire per poi essere abbandonata nel bosco.

A quel punto Franco Mottola avrebbe messo in atto un piano per «coprire» il figlio, sbarazzandosi del corpo e depistando le prime indagini a lui affidate. La morte della giovane, era il convincimento del pg, sarebbe stata legata ad una azione «concorsuale» di tutta la famiglia Mottola. Quella della 18enne è stata una lunga agonia, ancora senza responsabili.

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