Joe Biden invita a Washington gli alleati per discutere le prossime mosse in Ucraina, mentre sul terreno salta in aria la diga di Kakhovka, e la Casa Bianca pur avvertendo di «non poter dire in via definitiva cosa è accaduto», afferma che ha «sicuramente causato molti morti». In ogni caso il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale Usa John Kirby ha avvertito di un impatto «devastante» sulla sicurezza energetica del Paese.
Il presidente americano in questi giorni ospita a Pennsylvania Avenue due leader che considera fondamentali per attuare la sua strategia sul futuro del conflitto e sul percorso di avvicinamento di Kiev alla Nato. Lunedì è arrivata la premier danese Mette Frederiksen, mentre giovedì sarà la volta del primo ministro britannico Rishi Sunak. Con entrambi, al centro dei colloqui ci sono le iniziative di sicurezza, incluso il sostegno militare all'Ucraina, e l'operazione lanciata di recente per addestrare ed equipaggiare l'esercito di Volodymyr Zelensky con i jet F-16. Un'iniziativa nella quale Gran Bretagna e Danimarca stanno giocando un ruolo fondamentale. «Il presidente è interessato a conoscere le prospettive dei due alleati e discutere con loro le esigenze militari a lungo termine di Kiev», ha spiegato Kirby, sottolineando che «è proprio nell'ambito di una strategia di sicurezza per i prossimi anni che gli F-16 entrano nel dibattito». Dagli anni Settanta ad oggi Copenhagen ha acquistato decine di jet di fabbricazione americana ed è pronta a fornirli a Kiev, e anche Londra sostiene con forza la necessità di formare una coalizione per dotare gli ucraini degli F-16 (che tuttavia non possiede), pur escludendo l'invio dei Typhoon della Royal Air Force. E a febbraio, Sunak ha affermato che «nulla era fuori discussione» quando si trattava di considerare gli aiuti militari per l'Ucraina.
Sul tavolo negli incontri di questa settimana tra Biden e gli alleati c'è anche il vertice Nato in programma il mese prossimo a Vilnius, in Lituania, che arriva mentre Zelensky sta aumentando le pressioni per ottenere un percorso privilegiato o quantomeno definito verso l'adesione. «A Vilnius è necessario un chiaro invito all'Ucraina», ha detto il leader di Kiev la settimana scorsa al summit della Comunità politica europea in Moldavia. E poi c'è la questione della successione di Jens Stoltenberg alla guida della Nato a settembre, e sia Sunak che Frederiksen sono coinvolti nella discussione. Secondo le indiscrezioni dei media, il premier britannico arriverà a Washington con la richiesta a Biden di appoggiare il suo ministro della difesa Ben Wallace. Mentre sembra che gli Usa vorrebbero spingere proprio la 45enne leader di Copenaghen, che diventerebbe la prima donna alla guida dell'Alleanza (lei per ora dalla Casa Bianca ha detto di non voler far speculazioni sulla questione).
Intanto aumentano i malumori e l'imbarazzo dell'amministrazione Biden sui raid a Belgorod. Già in occasione della prima incursione via terra il 25 maggio, gli Stati Uniti hanno preso le distanze, e quando Mosca ha diffuso le immagini di veicoli militari occidentali abbandonati o danneggiati, inclusi gli Humvee di fabbricazione statunitense, Washington ha ribadito di non «incoraggiare o consentire attacchi all'interno della Russia». Più di recente, il Washington Post ha pubblicato un ampio rapporto riguardante armi provenienti da alcuni paesi della Nato tra cui Usa, Polonia, Cecoslovacchia e Belgio che sono state rinvenute a Belgorod. Alcuni combattenti russi filo-ucraini ad esempio sarebbero stati visti imbracciare fucili d'assalto ritenuti di fabbricazione belga.
Il capo dello stato maggiore congiunto Usa, generale Mark Milley, ha precisato lunedì in un'intervista alla Cnn che «il rischio di escalation c'è sempre» e «gli Stati Uniti stanno monitorando la situazione con grande attenzione». Ma le domande su come queste armi siano finite oltre frontiera aprono alcune crepe tra gli alleati, tra quelli più interventisti e altri, a partire da Washington, che continuano ad invitare alla prudenza.
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