Cecilia, Elisabetta, Giorgia: la forza di tre donne

Due donne e, con loro, Giorgia Meloni, riunite in una vicenda imprevista e dalla soluzione imprevedibile. Donne non di propaganda bensì ferme, trasparenti, decise a risolvere, senza manifesti e pubbliche apparizioni, un momento aspro, inquietante, infine vile

Cecilia, Elisabetta, Giorgia: la forza di tre donne
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La madre di Cecilia è personaggio del capitolo XXXIV de I Promessi Sposi e il Manzoni così la descrive: «Scendeva dalla soglia d'uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio, una donna, il cui aspetto annunziava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale: quella bellezza moille a un tempo e maestosa, che brilla nel sangue lombardo. Un turpe monatto andò per levarle la bambina dalle braccia, con una specie però d'insolito rispetto, con un'esitazione involontaria. Ma quella tirandosi indietro, senza però mostrare sdegno né disprezzo, no, disse: non me la toccate per ora; devo metterla io su quel carro: prendete!».

La madre di Cecilia, oggi, non è una figura romanzata creata da uno scrittore, è reale, viva, si chiama Elisabetta Vernoni e la descrizione che Alessandro Manzoni fa del proprio personaggio sembra aderire all'immagine offerta dalle cronache ultime della madre di Cecilia Sala.

Due donne e, con loro, Giorgia Meloni, riunite in una vicenda imprevista e dalla soluzione imprevedibile. Donne non di propaganda bensì ferme, trasparenti, decise a risolvere, senza manifesti e pubbliche apparizioni, un momento aspro, inquietante, infine vile. La madre di Cecilia sa che la prudenza delle parole e quindi il silenzio dell'azione possano produrre un esito felice, la stessa Cecilia chiede, da remoto forzato, che si faccia in fretta perché la luce del neon della sua cella è più forte di quella della speranza, Giorgia Meloni comprende la sofferenza, assieme, di una madre e di una figlia, gioca, per natura, il ruolo di entrambe e, per istituzione, quello di primo ministro, ha accolto Elisabetta e poi Renato, il padre di Cecilia, per meglio comprendere e meglio farsi capire ma è soprattutto la triade femminile ad avere la prevalenza, a consolidare il messaggio, a recitare la parte più importante, si può dire decisiva, in una vicenda che si è fatta, come ormai consuetudine, narrazione e quindi speculazione politica ed ideologica senza che le parti interessate abbiamo invece emesso un fiato in questa direzione.

È la forza del genere, una sorta di matriarcato, sia concesso evitando ribellioni e conati, là dove davvero due madri meglio di qualunque altro possono sapere che cosa significhi l'esistenza e il dolore di una figlia e/o di un figlio, creature nell'etimo originale.

Elisabetta Vernoni ha spiegato che l'incontro a Palazzo Chigi ha provocato un cambio di umore forte «...la premier ha fatto un salto di qualità dalle rassicurazioni comprensibili che ricevo sempre, è stata più precisa e puntuale ed è questo che io volevo, e questo ho avuto. Però io non piango, non frigno e non chiedo tempi».

È, la sua, la grande dignità del tormento.

Il soldato Vernoni, come sua figlia, accetta la missione, ma sa e soprattutto teme, al tempo stesso, che questa pazza storia, l'isolamento del gabbio, la sofferenza incredula per non avere commesso nulla, infine il sequestro, possano segnarne la vita. Salviamo il soldato Cecilia.

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