Il fuoco nel cortile ardeva per combattere il freddo e alimentare un'illusione. Nonostante le temperature fossero di poco sopra lo zero, nessuno voleva perdere la visuale delle porte della prigione, sperando di scorgere tra le fauci di quel cratere maledetto i volti di un padre, di un fratello o di un figlio. Tra sabato e domenica le milizie che hanno rovesciato il regime di Assad si sono impossessate di uno dei luoghi più famigerati della dittatura, la prigione militare di Sednaya, che si trova a 30 km a nord di Damasco, dove negli anni le forze di sicurezza hanno ucciso migliaia di oppositori. Da ieri stanno circolando in rete i video girati dal team di giornalisti britannici del The Guardian (che ha avuto in esclusiva l'accesso all'interno del campo di sterminio), mentre filmano i caschi bianchi (la difesa civile siriana) che cercano di penetrare negli spazi più angusti della struttura.
La prigione è stata costruita per generare un senso di assenza dell'orientamento. Al centro si trova una scala a chiocciola che dal primo piano si spinge fin nelle viscere della terra. La scala è circondata da sbarre metalliche e da grandi porte identiche, attraverso le quali si trovano le tre ali della prigione. Ogni settore è specializzato in una diversa forma di tortura. Di finestre sul mondo esterno neppure a parlarne.
È la prima volta che viene mostrato l'interno del penitenziario di Sednaya (ironia della sorte, letteralmente «luogo di caccia»), un posto inaccessibile a giornalisti, attivisti, osservatori indipendenti o anche solo parenti delle persone detenute, che entravano lì dentro e il più delle volte sparivano. I pochi prigionieri usciti vivi hanno descritto il posto come peggiore al mondo, dove le torture erano quotidiane e di una violenza inaudita. Secondo i dati riportati dall'Osservatorio siriano per i diritti umani, nelle stanze degli orrori sono state torturate e uccise oltre 30mila persone. Migliaia di prigionieri che hanno subìto processi sommari, le cui uniche udienze duravano fra uno e tre minuti e si concludevano con una condanna a morte. Le persone venivano trucidate attraverso impiccagione o decapitazione in spazi appositi a ridosso di forni crematori e di presse giganti utilizzati per non lasciare traccia dei cadaveri. Le celle, larghe pochi metri, venivano riempite con più di una dozzina di reclusi alla volta, senza lo spazio per sdraiarsi. Le urla dei prigionieri torturati riecheggiavano lungo i corridoi.
Sednaya non può essere definito un penitenziario, ma una via di mezzo tra un mattatoio e l'inferno dantesco. Mentre erano ancora in vita, i detenuti venivano torturati in vari modi: c'è chi era costretto a infilare la testa in un buco della porta della sua cella, e da lì veniva percosso dalle guardie. Molti hanno raccontato di avere passato lunghi periodi bendati e in posizioni innaturali. Nei video si intravedono celle sporche, poco illuminate, in alcune delle quali venivano reclusi anche bambini.
Ieri per tutto il giorno i caschi bianchi hanno provato a verificare la presenza di prigionieri rinchiusi nel cosiddetto «blocco rosso», ovvero l'area più in profondità della prigione.
L'Associazione per i detenuti e gli scomparsi (Admsp) ha fatto sapere che la ricerca non ha prodotto risultati, sbriciolando le aspettative di chi in quel cortile illuminato da un falò si stava aggrappando a un barlume di speranza.
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