Il popolo «digitale», quello che usa con naturalezza e facilità lo spid ha lanciato un messaggio forte alla politica, raccogliendo in una settimana mezzo milione di firme digitali per consentire il referendum sulla legalizzazione della cannabis.
La politica, però, non sembra molto sollecita a recepirlo. Da un lato c'è un fronte, quello del centrodestra, compatto nel difendere un principio che fa parte dei suoi valori ovvero l'impossibilità di rendere la droga legale. Dall'altro c'è un centrosinistra che si scopre disorientato. Con frange estreme (come il gruppo di Civati) e altri soggetti minori (primo fra tutti +Europa) che accusano il partito di Enrico Letta di snobbare l'importanza di questa battaglia. Mentre il leader grillino Conte vuole soltanto l'uso terapeutico e non la depenalizzazione.
È vero, c'è qualche autorevole dirigente del Nazareno come Matteo Orfini che soltanto quattro giorni fa ha annunciato su Twitter di aver firmato per la cannabis legale. La gran parte, però, resta silenziosa in attesa di sviluppi.
Il centrosinistra, inoltre, resta diviso anche in Commissione giustizia dove i deputati da tempo stanno tentando di imbrigliare il tema della depenalizzazione della cannabis nell'alveo dell'attività legislativa. Da pochi giorni è stata infatti approvata la proposta di testo unificato da utilizzare come testo base, depositata a metà luglio da Mario Perantoni del M5S. Il centrodestra (Fi, Fdi e Lega) ha votato contro (a eccezione di Elio Vito), Italia Viva che insieme alla Lega nell'ultima seduta del 4 agosto aveva chiesto il rinvio dell'esame del testo si è astenuta, Pd, M5S, LeU, +Europa e Sinistra Italiana hanno votato a favore.
Giorgia Meloni e Matteo Salvini fanno notare che il tema non è di stretta attualità. «La legalizzazione della cannabis, la legge Zan, la tassa di successione - afferma la leader di Fratelli d'Italia - Ma manco i visitors avrebbero avuto un programma così distante dal genere umano». «Rispetto la democrazia, io non firmo e non firmerei perché per me la droga è sempre morte e sempre una sconfitta - spiega il leader della Lega - Però siamo per fortuna in democrazia, quindi ognuno è libero di firmare per i referendum che vuole. Se uno va a fare un salto a San Patrignano cambia idea».
Insomma il centrodestra è pronto alle barricate. Dentro le assemblee legislative e sulle piazze, quando entrerà nel vivo la campagna referendaria. E può contare su combattivi alfieri del calibro di Daniela Santanchè (Fdi), Maurizio Gasparri (Fi) e il senatore pugliese Dario Damiani (Fi). «Siamo da sempre e saremo sempre contrari alla droga - conferma quest'ultimo, capogruppo azzurro in Commissione bilancio -, qualunque essa sia. Non ne facciamo, quindi, una questione tecnica di distinzione fra sostanze più o meno leggere o pesanti, bensì di cultura: la strada per noi non è legalizzare, ma investire in prevenzione e, in ultima istanza, la repressione. Se mai si dovesse arrivare al referendum, credo che gli italiani sceglieranno questo nostro tipo di visione del problema».
La Santanchè sfrutta la ribalta dei social per lanciare il suo slogan. «No alla legalizzazione delle droghe, tutte! Non prendo posizioni di comodo - scrive su Twitter -, non legalizzo il veleno, non mi accodo al mainstream o ai silenzi ipocriti di certi colleghi di sinistra contrari ma imbarazzati». E il riferimento è proprio al segretario del Pd già bersaglio di Benedetto della Vedova (+Europa).
«Sono dispiaciuto che Enrico Letta liquidi questa iniziativa - commenta quest'ultimo -. È una iniziativa che meriterebbe un giudizio più approfondito». «Un grande partito - la replica di Letta - non prende posizioni in 24 ore, non reagisce con un tweet».
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