E dunque: Lazio strappato, Lombardia confermata, le due Regioni-locomotive in cassaforte, quasi venti punti di distacco sull'opposizione comunque sia assemblata e shakerata. Già alle 16,53, a due ore dalla chiusura dei seggi, Super Giorgia gongola via Twitter: «Un importante e significativo risultato che consolida la compattezza del centrodestra e rafforza il lavoro del governo». La Meloni si sente più salda, inchiavardata a Palazzo Chigi, del resto anche l'altra partita, quella sui rapporti di forza nella coalizione, finisce a suo favore. FdI infatti vince, in certi casi stravince, ma la Lega non perde e Forza Italia regge. La premier non cannibalizza gli alleati, allontanando il rischio di rese di conti interne. Bassissima l'affluenza, che fa paura, e sinistra ai minimi storici: adesso sono soltanto quattro le Regioni che amministra. «Non siamo mai stati competivi, bisogna costruire un partito unico», ammette Carlo Calenda, mentre Enrico Letta non trova di meglio che attaccare il Terzo Polo: «Abbiamo respinto l'opa ostile, devono capire che l'opposizione va fatta all'esecutivo, non al Pd».
L'affermazione del centrodestra, prevista, va però oltre le più rosee aspettative: le opposizioni non avrebbero vinto neanche tutte unite. Nel Lazio Francesco Rocca trionfa su Alessio D'Amato, assessore uscente alla Sanità - che pure durante il Covid aveva mostrato efficienza e che comunque sorpassa la percentuale che fece vincere Zingaretti nel 2018 - superando il 50 per cento dei voti (con 3.359 sezioni scritinate su 5.306 è al 51,09) e staccando il rivale di quasi 16 punti. Lontanissima la grillina Donatella Bianchi. Affluenza scarsa, addirittura attorno al 37,2 per cento. Quanto alle liste, secondo le proiezioni Fratelli d'Italia è al 34, sei più di settembre, segue il Pd al 20,8, e M5s sotto il dieci. Forza Italia e Lega superano il 6 per cento, mentre Azione è ancorata al 5.
In Lombardia il governatore Attilio Fontana ottiene il suo bis raggiungendo (con 6.797 sezioni scrutinate su 9.214) il 55,9 per cento. Il Pd Pierfrancesco Majorino, appoggiato pure dai Cinque Stelle, si ferma sotto quota 33. Letizia Moratti, Terzo Polo, che sperava in un consenso trasversale, non oltrepassa il 10. La Lega, 16,9 per cento, perde lo scettro nel suo territorio e scivola al terzo posto. FdI diventa il primo partito con il 25,7, seguiti dai dem con il 21. Forza Italia, Lista Fontana e Lista Moratti oscillano tutti tra il cinque e il sette per cento. I grillini? Sotto il 4. Sembra di essere tornati ai tempi di Formigoni, che vinse tre delle sue quattro elezioni raggiungendo la maggioranza assoluta. La differenza sta nell'exploit dei meloniani, saliti in cinque anni dal 3,6 al 25.
Niente rivincita quindi, nessuna spallata, la Meloni può continuare a governare tranquilla. Cioè, tranquilla fino a un certo punto, visti i problemi con i partner europei, le riforme da completare, il Pnrr da ricalibrare e gli alleati da tenere comunque buoni. A suo favore gioca in ogni caso la débacle totale e generalizzata dell'opposizione, che perde, anzi straperde in qualsiasi formato o combinazione si presenti. Il campo largo di Milano ha fatto flop e non è compensato nemmeno teoricamente dal Terzo Polo. Delusione a casa Moratti, che puntava ad altre cifre e che invece non entrerà nemmeno nel consiglio regionale.
Stessa storia nel Lazio, dove il centrosinistra si è presentato in uno schieramento diverso, con renziani e calendiani dentro e pentastellati fuori: M5s in calo e capace di agguantare quel dieci o poco più che è bastato per far vincere Rocca. Il Pd tiene a Roma citta, dove D'Amato sfiora il quaranta per cento. Ma non basta, perché manca l'apporto di Azione, bloccata nella Capitale al 5, dimezzata rispetto alle politiche.
Insomma entrambi i modelli vanno a picco. Pd a pezzi: se in Lombardia il risultato era scontato, dopo dieci anni di amministrazioni rosse o rossette la perdita del Lazio per il Nazareno risulta piuttosto sanguinosa. E ha votato un elettore su tre, quindi nemmeno la bassa affluenza, tradizionale scialuppa di salvataggio di una sinistra dall'elettorato più fidelizzato, stavolta aiuta.
Si sta erodendo lo zoccolo duro? Da segnalare pure la cilecca del Azione e Italia Viva, che dovevano essere gli outsider, la sorpresa di questa tornata elettorale e che invece non sfondano nemmeno nelle due Regioni che apparivano più promettenti per rinascita centrista. Per non parlare della decrescita infelice di M5s. E si torna pare al bipolarismo, ma uno dei due poli è inguaiato assai.
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