nostro inviato a Bologna
Ci sono le bandiere di Fratelli d'Italia, non c'è la premier, costretta ad affacciarsi in video collegamento. È il labirinto degli impegni, compreso l'incontro «troppo lungo» con i sindacati. «Mi spiace da matti non essere arrivata per tempo a Bologna», spiega la premier dai monitor sparsi ovunque nel grande hotel alla periferia di Bologna in cui è allestita la convention elettorale. La sala, strapiena, ascolta e applaude tutti i relatori che si susseguono sul palco. Certo, la sfida è durissima è tutta in salita, ma c'è un clima di attesa, l'idea che un sistema consolidato di potere possa sfaldarsi da un momento all'altro. Molti hanno dovuto penare a lungo per raggiungere la location, e non per via di qualche manipolo di antagonisti, non pervenuti, ma perché prigionieri di un traffico infernale, con la città tappezzata di cantieri e la tangenziale congestionata. Qualcuno trasforma così quel pomeriggio da incubo in uno slogan: «Il sindaco Lepore ha battezzato la città dei 30 km l'ora. Magari fosse così, qui si va a 3 km l'ora». Risate e rabbia.
Elena Ugolini allarga il discorso e conduce col sorriso sulle labbra e le braccia conserte la più pacata e tagliente delle requisitorie: è tutta l'Emilia Romagna, chiamata al voto domenica e lunedì, a essere in affanno. «Mentre venivo qui - racconta lei alla platea - ho ricevuto una lettera da un alluvionato che ha avuto la casa distrutta. Mi pregava di far ripulire il torrente Zena dai detriti, perché altrimenti tutte le opere di consolidamento saranno inutili. Ma non c'è niente da fare, lì c'è un Parco e la Regione ha detto no». No, in nome di un'ideologia ambientalista che paralizza la comunità. Non basta, c'è pure la sanità: «Ogni giorno - attacca la candidata del centrodestra che sfiderà il sindaco di Ravenna Michele De Pascale - un medico di qualche struttura pubblica si dimette perché non c'è rispetto per la professionalità e i malati sono solo pratiche e numeri». La sommergono di applausi e riconoscono il coraggio e la volontà di cambiamento di questa insegnante che è stata sottosegretaria all'istruzione nel governo Monti ma poi è rimasta sempre nel mondo della scuola. È una società impacchettata nei propri meccanismi e nei propri pregiudizi, quella che va alle urne, ma Ugolini prova a dare la scossa.
E Meloni risponde da Roma: «Dopo l'alluvione - racconta la premier - il governo non si è voltato dall'altra parte, ha stanziato complessivamente oltre 6,5 miliardi. Qualcuno ha detto che non è arrivato un euro: è falso. I soldi ci sono e vanno spesi e velocemente». Forse, l'esame di coscienza allo specchio deve farselo la classe dirigente che oggi cerca la riconferma da parte dei cittadini. «La sinistra - aggiunge Meloni - governa questa regione da 54 anni, quando c'erano Nixon e Mao. Non deve stupire come il clima si sia surriscaldato in queste settimane, lo fanno sempre quando hanno paura di perdere il potere». A sinistra alzano i toni, è il messaggio politico del capo del governo, per fermare la svolta. La chiusa è rivolta però alle donne: «Mi faccio chiamare il presidente ma con me la disoccupazione femminile scende». Matteo Salvini riprende invece l'eterno duello con i giudici dell'immigrazione: «Ci sono trenta o quaranta magistrati, una piccola minoranza, che vanno in tribunale per portare la loro ideologia, che è la loro bandiera rossa, che è la tessera del Partito democratico.
È arrivato il momento di approvare la separazione delle carriere e la responsabilità civile dei magistrati». Insomma, mezzo secolo di egemonia potrebbe evaporare nelle urne. «Nel 94 - nota Antonio Tajani - Silvio Berlusconi ha impedito che l'Italia diventasse come l'Emilia-Romagna». È ora che l'Emilia-Romagna diventi come l'Italia.
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