Cermis e Champoluc: tanti morti, pene basse. Assoluzioni e condanne lievi (con 53 vittime)

Nei tre incidenti con impianti a fune fu difficile accertare le responsabilità

Cermis e Champoluc: tanti morti, pene basse. Assoluzioni e condanne lievi (con 53 vittime)
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Assolti con formula piena a Champoluc nel febbraio 1983; tre anni di condanna a un manovratore e al direttore dell'esercizio in due processi per il (primo) Cermis nel marzo 1976; un risarcimento per il guasto al Piz Boé nel'86. Andò così negli unici tre incidenti a impianti a fune che, per qualche elemento, si possono paragonare alla tragedia di Mottarone. Un saldo leggero con la giustizia, al netto dei 53 morti 11 a Champoluc, 42 al Cermis oltre a tre feriti. Dopo il mancato fermo di due notti fa, la sorte dei tre indagati del Mottarone sembra avviarsi a un iter simile. A meno che, in primis, non si trovi un nesso causa effetto fra la manomissione volontaria dei freni e la rottura del cavo traente e, in secundis, che il suo logorio non sia frutto di un evento imponderabile, ma di negligenza.

Quante amare coincidenze fra queste tragedie. Anche allora in Valle D'Aosta sopravvisse solo un bimbo di 9 anni, mentre sulle Dolomiti una ragazza si salvò, protetta dai corpi degli amici. Sul Boè di Corvara, invece, era estate: in cabina oltre al manovratore illeso, c'era un solo passeggero che si ruppe un piede. Sono gli Eitan, cresciuti o piccini, di un passato che ritorna e che si è ingarbugliato di nuovo fra le funi di quella maledetta domenica. Le similitudini fra le dinamiche di questi incidenti sono forti ma al Mottarone due eventi tragici, per ora forse nemmeno collegabili, hanno creato la tempesta perfetta e dolorosissima che conosciamo.

A Champoluc era un bel sabato di Carnevale nel'83: l'ovovia del Crest ebbe un primo problema al mattino. Un ovetto si sganciò dal binario alla partenza. Un po' di suspense ma i tecnici decisero di sospendere solo per un po' il servizio e far ripartire dopo qualche tempo l'impianto. Quel segnale non fu considerato un campanello di allarme quando, qualche ora dopo, un altro ovetto si sganciò dalla traente e prese a scivolare indietro. Quando urtò un pilone, innescò un effetto domino che travolse altre due cabine. Niente freni, anche la portante cedette per sovraccarico. Nessun colpevole, per una dinamica da brivido, così simile al Mottarone.

La lezione del Cermis, pochi anni prima, non era bastata. Allora era primavera: la neve migliore, la funivia da e per Cavalese girava sempre piena. Un manovratore, risultato poi senza patente, decise di bypassare alcuni sistemi di controllo della velocità già presenti all'epoca. Obiettivo: procedere più spediti. Fu la fine: i cavi portante e traente si sovrapposero e si tranciarono a vicenda. Tecnico e direttore d'esercizio condannati: tre anni a testa, 42 vite spezzate. L'incidente del Piz Boè, che provocò nel 1986 solo un ferito resta l'unico caso in cui a tranciarsi fu il cavo traente. Non per sovrapposizione con altre funi, non per mancanza di freni o scelte scellerate dei manovratori. Allora ci fu un problema nelle pulegge dove un componente degli ingranaggi si staccò e invece di cadere all'esterno del meccanismo vi finì in mezzo, contribuendo, giro dopo giro, a lesionare la fune fino a tranciarla.

Capire se anche al Mottarone sia andata così o se quei continui stop ai freni, poi manomessi, fossero un segnale che qualcosa si stesse deteriorando nella fune traente e che i tecnici dovessero cogliere il segnale, prima che fosse troppo tardi, è oggi il primo fondamentale punto dell'indagine. Per il resto, nonostante le vittime, lo dice la legge dell'uomo: in dubio pro reo.

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