Suo padre era un intellettuale, professore di Economia politica alla Sapienza e studioso del lavoro. Suo padre era Ezio Tarantelli e fu ucciso nell'85. Aveva appena terminato una lezione e i Br gli spararono con una mitraglietta nel parcheggio dell'università. Luca aveva 13 anni. Oggi in quello stesso ateneo insegna la professoressa Donatella Di Cesare, che ha salutato «con malinconia» Barbara Balzerani, dirigente romana delle Br, fra i responsabili del sequestro Moro, condannata per «apologia di reato» in relazione all'omicidio Tarantelli e morta tre giorni fa. «La tua rivoluzione è stata anche la mia» ha scritto, per poi cercare di spiegare o minimizzare.
Luca Tarantelli, lei cosa pensa di quelle parole?
«Si dice che è necessario capire? Questo è l'opposto, il tentativo di strumentalizzare tutto e tutti, una realtà che in quegli anni era molto più articolata».
Ma il tentativo di giustificare o minimizzare è di tanti. Che sentimenti le suscita?
«Mi spiazza. Ma in realtà ci sono stati sempre, anche negli anni Novanta, movimenti e ambienti anche universitari, con queste idee. Gruppi, anche di femministe, o case editrici, e ora siti internet, che hanno giustificato in forme ideologiche la lotta violenta, propagandando un'idea di distruzione della democrazia, o di caos. Un nucleo fu arrestato a Scienze politiche. E c'è stato il costante tentativo di mettere il cappello su tutta una storia, facendola coincidere con minoranze violente».
Intende che i brigatisti sono rappresentati come i «protagonisti» di una stagione?
«Sì, come se i protagonisti fossero quella minoranza violenta, la cui azione peraltro non aveva senso neanche politico, non solo umano, se politica è immaginare un futuro».
Suo padre, punto di riferimento dei socialisti, fu ucciso perché riformista. Non a caso la delirante rivendicazione delle Br si concentrava sul suo ruolo nella revisione della scala mobile.
«Mio padre non era iscritto ad alcun un partito. Aveva fatto un percorso molto faticoso, di studio, mettendo in campo idee concrete che smentivano gli approcci settari e le proiezioni di fantasia degli integralisti. Quelli come Balzerani hanno ottenuto un solo risultato: hanno distrutto dei fermenti e impoverito la qualità della democrazia. È quello il loro lascito».
Impressiona il fatto che nella stessa università di suo padre possa esserci chi ha nostalgia per certe figure o stagioni. La rettrice Antonella Polimeni ha espresso sconcerto su Di Cesare. Basta?
«Ho apprezzato la sua presa di posizione ma per me una persona che fa quella specie di apologia dovrebbe essere radiata».
E la sinistra ufficiale? Il ricordo di suo padre è valorizzato nel «pantheon» del Pd?
«Bella domanda. Direi dimenticato, purtroppo. Non mi pare valorizzato. Non ho memoria di particolari iniziative. La Cisl l'ha ricordato sì. Ma anche in questi giorni, non so che reazioni ci siano state a sinistra. Non voglio polemizzare ma sono in quel pantheon ci sono varie figure, e io non vedo la sua».
Più facile che lo ricordino i riformisti di Fi, alla Brunetta o alla Sacconi.
«Con Sacconi nel 2010 una targa è stata inaugurata a Roma in una sede del ministero».
Cosa ricorda della dimensione pubblica di suo padre, in quella stagione di riforme?
«Piccole discussioni che sentivo, sulla scala mobile, che per me più o meno era quella della Rinascente. Ricordo anche che gli chiesi cosa fosse questa inflazione di cui tanto parlava e mi spiegò cos'era e che dipendeva da scelte degli attori sociali, non solo dal petrolio o da altri fattori esterni».
Fra chi ha celebrato Balzerani, anche gruppi di studenti. E certe manifestazioni anche oggi paiono giustificare la violenza - pure di Hamas - se vuole abbattere l'odiata democrazia «borghese».
«Non so.
Ma so che la violenza abbatte solo il vivere civile, impoverisce la vita collettiva. È un pensiero magico quello per cui sparare nel mucchio può generare una reazione contro l'ingiustizia o l'oppressione. E invece no: quando hai sfasciato un negozio o peggio ancora ucciso qualcuno, cosa hai ottenuto?».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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