Un milione di «no». No a qualsiasi intervento sull'articolo 18. No al Jobs Act. No a tutte le riforme. No alla legge di stabilità. Eppoi: no al governo Matteo Renzi. No alla Leopolda nella quale si è asserragliato il premier nel sabato delle due sinistre. No. No. No.
La Cgil porta in piazza San Giovanni un milione (dicono loro) di italiani che si oppongono a qualsiasi cambiamento. Che non hanno nessuna proposta se non uno sciopero generale (il 14 novembre?) il cui prezzo verrebbe pagato da chi un lavoro ce l'ha e tenta di tenerselo. Centinaia di migliaia di giovani per lo più senza tessera del sindacato che affidano il loro futuro, che è la cosa più importante che hanno, a una sigla potente governata da un'attempata signora, a un potere che è stato complice della loro rovina, grazie a decenni di politicizzazione, di consociativismo, a pratiche di retroguardia che hanno issato il costo del lavoro a livelli insostenibili aumentando la disoccupazione, alla difesa del posto di lavoro purchessia, compresi sfaccendati, assenteisti, ladri, corrotti, al sovradimensionamento dell'amministrazione pubblica che ha bloccato per decenni ogni turn-over. E adesso? Cambiamo tutto? No, meglio di no.
È il sabato del villaggio, di una piazza colorata e composita, che celebra la liturgia stantia del pugno chiuso, del Bella ciao appena rinfrescato da una spruzzata di worl d music , degli slogan old style come «al lavoro, alla lotta!». Dentro c'è di tutto: lavoratori, studenti, pensionati, precari, sindacalisti. Orfani dell'estrema sinistra, schegge impazzite, pezzi del Pd che non si riconoscono nelle camicie bianche della Leopolda.
I cortei partono di mattina presto, in una Roma intorpidita e assolata. Uno da piazza della Repubblica, uno da piazzale dei Partigiani. Migliaia i pullman e i treni arrivati da tutta Italia. Susanna Camusso sente aria di impresona già verso le 9: «Buon 25 ottobre a tutte e tutti. Il corteo è già a Santa Maria Maggiore ma la coda è a piazza Repubblica», constata. Due punti di Roma lontani almeno un chilometro. La manifestazione serve anche a ricordarsi di sigle di cui ci eravamo dimenticati. Ad esempio il Pdci, il cui segretario, Cesare Procaccini, rialza la testa: «Una giornata straordinaria, una grande prova di democrazia e una risposta a quanti vogliono fare carta straccia dei diritti dei lavoratori. Dove è l'opposizione in Parlamento? Ancora una volta si sente la mancanza dei comunisti in Parlamento». Sicuri?
Il vero bersaglio dei manifestanti è lui, Renzi. Anche se c'è un po' di nostalgia per i vecchi nemici di classe: «Renzi come Berlusconi è con i padroni», recita un cartello. «Matteo, Matteo, l'articolo 18 non si tocca», si scandisce. Sfilano anche i «gufi felici», che citano il modo in cui il premier definisce i pessimisti in servizio permanente effettivo. I più ambigui sono i deputati in quota Pd: Stefano Fassina parla di «superare l'euro» mentre Gianni Cuperlo e Pippo Civati sfilano come promesso dietro il corteo dietro lo striscione dei poligrafici dell' Unità chiusa. Un gruppo di studenti si stacca dal corteo e blocca per minuti il traffico nella già caotica Porta Maggiore. Altri giocano a pallone chiedendo un «lavoro da Champions», ma andrebbe bene anche un posto da preliminari di Europa League. I musicisti «licenziati» dell'Opera di Roma cantano Nessun Dorma .
E nessuno dorme, infatti. Non Susanna Camusso: «La giornata di oggi - promette - non è solo una fermata. La Cgil è pronta a continuare la sua protesta per cambiare il Jobs Act e la politica di questo governo anche con lo sciopero generale».
La segretaria sembra a divertirsi a citare nel suo comizio (altra bella antica parola) Renzi, e ogni volte partono bordate di fischi. È la pancia della manifestazione, molto diversa dalla testa che continua a dire che sì, insomma, non c'è tanta distanza tra Firenze e Roma. La manifestazione finisce. Bella, ciao.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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