Non sta andando affatto bene la campagna per il «sì» al referendum costituzionale. Non quella ufficiale, nella quale Matteo Renzi ha dovuto fare clamorose correzioni di rotta per non polarizzare su se stesso il voto, che si preannunciava nei sondaggi come un diluvio di «no» (e lui e la Boschi a casa, col «sì» unanime).
Ma non marcia neppure la campagna sotterranea condotta dalla ministro Boschi, che stenta ad arruolare alla «causa» rilevanti segmenti di società. Per esempio, nel campo sindacale, dopo il blitz-krieg che ha portato la cislina Furlan a esprimersi convintamente per il governo (riforma promossa con 7+, ha largheggiato), le avances della maggioranza si sono dovute arenare di fronte al buonsenso della Uil di Barbagallo, preoccupata del «combinato disposto tra riforma costituzionale e legge elettorale», e al responso del comitato direttivo della Cgil che fin da maggio ha deliberato di «non voler esprimere una posizione ufficiale». Farlo, tra l'altro, avrebbe messo la segretaria Susanna Camusso (per nulla convinta della riforma) nella spiacevole situazione di una spaccatura profonda, considerato che già la Fiom di Landini e la corrente di Giorgio Cremaschi sono da tempo sulle barricate del «no».
È probabilmente nell'ottica di questo difficile equilibrismo, che la leader della Cgil ieri in un'intervista alla renzianissima Repubblica di Calabresi ha rilanciato uno dei temi più difficili da digerire per il governo: una tassazione patrimoniale capace di dare finalmente respiro alla domanda, attraverso una «crescita generale dei salari accompagnata da un piano di investimenti pubblici e privati». Serve questo, spiega la Camusso, per uscire dalla stagnazione, combattere davvero la deflazione e chiudere la stagione dell'austerità. Non si può andare avanti «con le politiche dei bonus, con la logica dell'emergenza... Un po' qua, un po' là. Si è visto con gli 80 euro, la gente prima ha pagato i debiti poi si è rimessa a risparmiare. Meglio il bonus maternità o un piano per creare più asili pubblici?...».
Quello che colpisce del ragionamento della Camusso, pulpito governativo a parte, è il tono critico sì eppure aperto ai consigli e al dialogo con Renzi. Quasi condivisibile, se non fosse per il finale, che va a parare sulla trita e ritrita tassazione generalizzata. La leader cigiellina ha riscoperto l'uovo di Colombo: «utilizziamo la leva fiscale». Per detassare tutti i salari, dice, «serve un concorso di tutta l'economia, pensiamo che con misure attente a non colpire il ceto medio si possano recuperare svariati miliardi l'anno». Musica, per le orecchie renziane assetate di dobloni. Dulcis in fundo: «Pensiamo di tassare i grandi patrimoni, mica la tassa dell'operaio che per comprarsela ha acceso un mutuo» (esempio che sembra fatto apposta per far rizzare più d'un pelo). Considerata l'improponibilità del tema anche a livello di rapporti con la traballante maggioranza parlamentare - subito gli alleati di centro hanno parlato di «ricetta antistorica» - parrebbe di capire che quella della Camusso vuol essere la «base di partenza» per una trattativa. Difficile preconizzare se, all'interno di essa, possa andarci a finire anche una posizione più conciliante verso il referendum. Si vedrà, l'importante evidentemente era far sapere di essere disponibili a parlarne. Il tempo stringe. Referendum a parte, smaccatamente ormai l'ultimo dei problemi di un autunno caldissimo, c'è da inventarsi una ripresa economica. Con l'Europa che ci tiene costantemente nel mirino per via del debito pubblico fuori controllo, e lo stellone di Renzi giù a precipizio. Servono soldi, serve l'occhio benevolo fuori e dentro i confini del Belpaese.
Ecco perché se la Cgil ottenesse qualche risultato nelle varie trattative aperte sul rinnovo dei contratti, a cominciare da quelli pubblici, anche la partita cui Palazzo Chigi ha affidato la propria credibilità, il referendum, sarebbe forse più facile. Puntare su una «linea morbida» della Cgil ci sta, tutto sta a guadagnarsela. Tanto a rimetterci restiamo sempre noi.
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