Le chat che inguaiano i Soumahoro

La cognata inventava scuse per non pagare i dipendenti. I pm: "Sistema criminale"

Le chat che inguaiano i Soumahoro

Prima ha esordito portando i braccianti in Parlamento, poi gli ex dipendenti Whirpool: questa la parabola a favore di telecamera dell'onorevole Soumahoro. Il deputato infatti sta «combattendo» insieme agli operai della ditta napoletana licenziati in tronco ormai 4 anni fa. «Sono stanchi, arrabbiati ma non rassegnati», dichiarava Soumahoro qualche settimana fa in una conferenza stampa alla Camera organizzata proprio «per dare voce alle loro storie e alle loro rivendicazioni».

Le stesse rivendicazioni però non valgono per tutti coloro che sono stati sfruttati e usati dai suoi familiari all'interno delle cooperative Karibu e Aid e ai quali l'onorevole non ha mai fatto riferimento.«La famiglia di Soumahoro chiedeva ai dipendenti fatture false per gestire la loro contabilità», ci ha raccontato una persona legata alla coop Karibu. Il Giornale è poi entrato in possesso delle chat tra i dipendenti delle coop di Latina e Aline Mutesi, la figlia di Marie Terese Mukamitsindo, sorellastra di Liliane Murekatete e quindi cognata dell'Onorevole. Aline era infatti la Presidente del Consorzio Aid ma era anche colei che, insieme alla madre gestiva i «contratti» - o meglio la gestione delle retribuzioni - dei dipendenti Karibu.

Le conversazioni che abbiamo letto risalgono al periodo tra giugno e luglio scorso e dimostrano le bugie e lo sfruttamento dei lavoratori che non sono mai stati retribuiti e che ancora - dopo anni - aspettano quanto dovuto.

«Aline per favore, se continuo con i debiti andremo dall'avvocato. Non è giusto», avvertivano i dipendenti. «Non ho dimenticato i vostri debiti, dovevamo essere pagati ma poi hanno richiesto certificati antiriciclaggio». Questa la scusa ricorrente da parte delle protagoniste di quello che anche i magistrati hanno definito «spregiudicato sistema criminale a conduzione familiare».

«Ho bisogno di soldi - ancora i dipendenti ad Aline Mutesi - sono con te, al tuo servizio in qualsiasi momento e spero che troverai una soluzione al contratto di lavoro. Sto aspettando almeno di aver pagato almeno la metà dell'importo per favore».

Un contratto, quello che chiedono i dipendenti, che non è mai stato fatto. Il lavoro si svolgeva infatti in nero e la risposta di Aline non lascia dubbi: «Era mia volontà fare un contratto di lavoro, ma non è stato possibile farlo per via dei documenti».

Un altro nodo è infatti quello che Karibu e Aid - da quanto raccontano i testimoni e la documentazione - raccontavano di non poter far contratto se i lavoratori non avessero presentato i documenti ma, ovviamente, senza un contratto di lavoro i documenti non venivano emessi. In pratica: quelle persone hanno lavorato in nero per anni ad oggi risultano ancora clandestini. Ma c'è di più: le fatture.

«Quando mi pagherai, Aline?» si legge nelle chat. «Portami la prossima settimana la prima fattura di metà importo», rispondeva la presidente Aid continuando: «Possiamo fare qualche fattura? Se si può fare mi aiuta tantissimo».

Ed ecco che spunta anche il nome della regina dell'accoglienza Marie Terese Mukamitsindo. Un dipendente le scriveva, infatti «Non ho bisogno di negoziare, signora, ho bisogno dei miei debiti». Ma la risposta è sempre la stessa: «Lo so, hai lavorato con Aid e stanno sempre aspettando le fatture».

«Sto aspettando il bonifico per poter portare le fatture», rispondevano i lavoratori.

Ovviamente, senza contratto e con il lavoro in nero era impossibile fatturare quelle cifre promesse ma mai realmente arrivate nelle tasche che di chi ogni giorno si spaccava la schiena all'interno della cooperativa.

«Questo lavoro è fuori legge e tu non hai rispettato ciò che avevi promesso», scrivevano infatti i dipendenti alla cognata del deputato Soumahoro.

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