Quello che il Pd non vuol vedere dalle primarie

Il Pd canta vittoria per la buona partecipazione ottenuta alle primarie di Roma e Bologna, ma gli esiti scontati delle due consultazioni lasciano molti dubbi sull'utilità di questo strumento

Quello che il Pd non vuol vedere dalle primarie

"Bene! La prima scommessa è vinta. Le #primarie a Roma e Bologna sono un successo di popolo e pur in epoca Covid hanno affluenza come preCovid”. Così ha esultato su Twitter il segretario del Pd, Enrico Letta, poco dopo la chiusura dei seggi che hanno decretato il successo di Matteo Lepore a Bologna e di Roberto Gualtieri nella Capitale.

Dentro il Pd era palpabile il rischio che questa domenica si ripetesse il flop già registrato una settimana fa per le primarie di Torino dove avevano votato appena 20mila persone. A Roma è plausibile che l'affluenza si attesti attorno ai 45mila votanti, duemila in più rispetto alla competizione di cinque anni fa. Un dato che il Pd valuta positivamente, ma che, in realtà, nasconde alcune perplessità. Se da un lato è vero, infatti, che alcuni italiani hanno ancora un po' di paura a partecipare a quelli che un tempo chiamavamo 'grandi eventi di massa', dall'altro lato è pur vero anche che stavolta il Pd dava la possibilità di votare online. Ora, visto e considerato che la base dei democratici capitolini giudica fallimentare l'esperienza amministrativa della Raggi, ci si sarebbe aspettato una partecipazione di gran lunga superiore ai 50mila votanti. Le Comunali che si terranno in autunno, infatti, sembrano non appassionare i romani e chiunque vincerà dovrà preoccuparsi di risolvere tutte le rogne ataviche di Roma: rifiuti, trasporti ecc... In realtà, nessuno, neanche dentro il Pd, sembra avere un reale desiderio di riprendersi il Campidoglio. Nel 2013, dopo la fine della giunta Alemanno, quando la vittoria era a portata di mano, votarono 100mila romani. Ecco, in 7 anni, l'interesse degli elettori Pd per la scelta del loro candidato sindaco si è più che dimezzata, sebbene stavolta il vincitore avrà l'onere e l'onore di far dimenticare il quinquennio horribilis del M5S.

Anche a Bologna, roccaforte storica della sinistra, le primarie hanno avuto una buona partecipazione, ma resta difficile capire il motivo per il quale sono state indette. La vittoria di Matteo Lepore era scontata, proprio come quella di Gualtieri a Roma. L'assessore alla cultura uscente godeva del sostegno di tutto il partito, salvo pochissime eccezioni. I voti dei dem che hanno appoggiato la renziana Isabella Conti sono stati compensati con il sostegno delle sardine e degli elettori grillini (che nel capoluogo emiliano si contano sul palmo di una mano...). Il 'non detto' delle primarie bolognesi è che Lepore, candidato della 'ditta', mai e poi mai, avrebbe perso contro una candidata renziana che è primo cittadino di un piccolo comune di provincia come San Lazzaro di Savena.

E, anche qualora la Conti avesse vinto, almeno una cospicua parte degli sconfitti non avrebbe accettato di sottostare ai voleri di un esponente di quel partito che ha fatto cadere il Conte-bis. Una città rossa come Bologna un simile 'dispetto' non lo perdona facilmente. È lecito, dunque, chiedersi: ma che senso ha fare ancora le primarie?

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