Sono passati trent'anni dalla catastrofe nucleare più grave della storia, quando il 26 aprile 1986 esplose il reattore numero 4 della centrale di Chernobyl, nel Nord dell'Ucraina. Sono cambiate poche cose, il materiale radioattivo è ancora là e le radiazioni continuano a uccidere. Eppure, a trent'anni dal disastro, l'area intorno alla centrale pullula di vita. Gli esseri umani sono davvero pochi, 158 anziani che hanno deciso di restare o tornare alla propria casa dopo l'incidente. Ma ad aver ripopolato la zona ora sono gli animali, dai lupi ai cinghiali selvatici. A documentarne la presenza sono state le telecamere collocate dai ricercatori dell'Università americana della Georgia nella cosiddetta «zona di alienazione», cioè l'area off limits istituita dalle autorità nel raggio di 30 chilometri dal luogo del disastro.
I filmati hanno permesso di stabilire che i livelli di radiazioni non influenzano la presenza degli animali. Anche se, secondo gli scienziati, servono maggiori approfondimenti per capire gli effetti della contaminazione sulla fauna e per definire il tasso di sopravvivenza degli animali. In ogni caso, spiegano i ricercatori, «non abbiamo prove che dimostrino che le popolazioni di animali sono represse nelle aree fortemente contaminate. Abbiamo scoperto che questi animali sono più presenti nelle aree del loro habitat in cui possono trovare ciò di cui hanno bisogno, cibo e acqua». Le riprese hanno permesso di individuare 14 specie diverse di mammiferi. Tra queste le più frequenti sono state il lupo grigio, la volpe rossa, il cinghiale selvatico e il cane procione. I ricercatori hanno concentrato l'attenzione soprattutto sui carnivori perché, per la loro posizione nella catena alimentare, sono più esposti a contaminazione. Oltre a ingerire prede che si sono nutrite sul territorio, questi assorbono le radiazioni anche e attraverso suolo, acqua e aria. Chernobyl, però, rimane un landa desolata, anche se c'è chi ha deciso di tornare a vivere qui, sfidando la contaminazione e l'ordine di evacuazione delle autorità ucraine.
Tra questi c'è Ivan Shamyanok, che non ha mai abbandonato il suo villaggio di Tulgovich. Ivan ha novant'anni e vive nella «zona di alienazione» in una sorta di quiete irreale. Rimasto solo dopo la morte della moglie, non hai mai cambiato le sue abitudini, neppure quelle alimentari, continuando a mangiare la frutta e la verdura del suo giardino. Si alza alle sei del mattino ascoltando l'inno nazionale alla radio, poi si prende cura dei suoi animali, galline e maiali. «I medici vengono a visitarmi e sto bene ha raccontato all'agenzia Reuters Anche mia sorella viveva qui con suo marito, ma sono morti. Sono morti d'ansia. Io non ce l'ho. Canto un po', prendo le cose con calma e vivo. Il mio segreto per sopravvivere e non aver mai abbandonato il posto dove sono nato». Fra quelli che sono tornati alla propria casa c'è pure Maria Urupa di ottant'anni. Vive in una casa di legno e anche lei mangia soprattutto le verdure coltivate sul suolo di Chernobyl. Due mesi dopo l'incidente e l'evacuazione è rientrata al suo villaggio col marito. «Ci siamo messi in viaggio in sei e siamo tornati a casa camminando attraverso la foresta, come guerriglieri». Nella «zona di alienazione» non si può stare più di tre giorni e i visitatori devono mostrare i documenti per entrare. «Ordini superiori», spiega Valentina Kukharenko, che ha 78 anni.
«Dicono che i livelli di radiazione sono alti. Magari fanno male a quelli che non sono mai stati qui. Ma noi vecchi di che dobbiamo avere paura? I bambini non possono venire, ma Chernobyl un giorno tornerà a vivere. E spero che tornino anche le risate dei bambini».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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