Chi contesta non fa propaganda

Se è una commedia buffa, quella delle cosiddette "liste di proscrizione" dei putinisti è durata troppo.

Chi contesta non fa propaganda

Se è una commedia buffa, quella delle cosiddette «liste di proscrizione» dei putinisti è durata troppo. Con la pubblicazione del bollettino dei Servizi sulla «disinformazione russa», voluta opportunamente dal sottosegretario Gabrielli, speriamo si chiuda una vicenda che assomiglia a una pochade, come spesso accade quando l'Italia si trova in guerra. Per capirla partiamo dal primo conflitto mondiale. I servizi di informazione delle democrazie, Francia, Stati Uniti, ma anche Italia e Regno Unito, cercavano le spie tedesche e le scovavano tra personaggi insospettabili e nascosti. Chi invece diffondeva propaganda contro la guerra o per il nemico, veniva censurato alla fonte: non poteva scrivere o parlare. Oggi, invece, le democrazie continuano a perseguire le attività spionistiche, ma la propaganda a favore del nemico viene consentita. Altrimenti durante la guerra fredda l'Unità, sempre schierata con l'Urss, non avrebbe mai dovuto uscire. Nel caso in questione, ci pare che i servizi si siano impegnati a scoprire ciò che a tutti era noto: bastava fare zapping e seguire i social per sapere che i nomi citati nella lista simpatizzano più o meno esplicitamente per la Russia. Diffondono notizie identiche a quelle veicolate dal Cremlino. Quindi dove sta il lavoro dell'intelligence? Cosa hanno scoperto di tanto segreto? L'altro elemento riguarda la attività dei «disinformatori»: si tratta certamente di propaganda anti Nato e pro Putin. Molte delle loro affermazioni sono fake news, tutte sono aberranti. Obiettivamente favoriscono la Russia, con cui siamo indirettamente in guerra: e si sa che quelle della propaganda sono comunque armi. Riconosciuto questo, cosa possiamo fare? Negli Usa, in Francia e in Italia durante la Prima guerra mondiale sarebbero finiti in carcere, oggi, fortunatamente, hanno il diritto di scrivere pubblicamente le loro scempiaggini. E nostro dovere è quelli di controbattere e anche di esecrarli. L'ultimo aspetto della vicenda riguarda i profili citati. Con tutto il rispetto per le persone soi disant «proscritte», se Putin puntasse su di loro per vincere la guerra di propaganda, sarebbe davvero messo male, visto che essi non sono, per usare un eufemismo, figure centrali nella comunicazione in Italia.

Che però ora si ergeranno a vittime di una «dittatura Draghi»: inesistente perché nelle dittature, come quelle del loro amico Putin, sarebbero già in galera da tempo. E tuttavia, in ragione di qualche funzionario forse troppo zelante, ora possono presentarsi come martiri della libertà, sfruttando uno dei grandi caratteri dell'italiano: il vittimismo.

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