«Il governo dica di chi è stata la manina che ha inserito la depenalizzazione dell'evasione della tassa di soggiorno nel decreto». Il deputato di Italia Viva Michele Anzaldi, chiede che l'esecutivo chiarisca il caso della condanna per peculato del padre della compagna di Conte, cancellata grazie ad una norma del Dl Rilancio.
Lei ha parlato di «legge ad personam». Perché?
«Quando la norma spuntò nel decreto, ci fu chi, come il sottoscritto, paventò il rischio che fosse una legge ad hoc per il suocero del premier. Non era chiaro come la depenalizzazione di un atto di evasione fiscale e peculato potesse servire a rilanciare l'economia. Ci fu detto che la norma non si poteva applicare retroattivamente, e la condanna al proprietario dell'Hotel Plaza era ormai passata in giudicato, peraltro patteggiata. Invece, scopriamo che è stata applicata retroattivamente solo nel caso del Plaza».
Una vicenda sulla quale chiede trasparenza. Cos'altro non torna?
«Quella norma è stata inserita nel decreto dal governo prima del suo arrivo in Parlamento. Nella versione uscita dal Cdm e pubblicata in Gazzetta ufficiale il 19 maggio quel comma già c'era. Qual è stato l'ufficio legislativo del governo che l'ha voluto? È stato il ministero dei Beni culturali e turismo, cui le norme del settore dovrebbero fare riferimento? Oppure a inserirlo è stato il Dagl, (Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi ndr), che fa diretto riferimento a Conte a palazzo Chigi? La stranezza è che quella norma non è stata rivendicata da nessuno. Se era così utile per il rilancio dell'economia, perché nessuno l'ha sottolineato?».
Che cosa si aspetta?
«Sarebbe corretto che venissero pubblicati i verbali della seduta del preconsiglio dei ministri che ha dato il via libera a quella norma, per risalire al responsabile. Ogni decreto passa da lì. È doveroso che la gestazione di quel comma, un vero e proprio colpo di spugna, sia resa pubblica. Se il governo non lo farà, se a svelarlo non sarà qualche doverosa inchiesta giornalistica, lo chiederò con un'interrogazione parlamentare».
Conte in passato ha dichiarato di non voler agire «col favore delle tenebre». Non le sembra che questo caso e quello del Recovery Fund dimostrino il contrario?
«Direi che questa volta lo ha certificato con una pec perché se lei chiede un parere ai ministri su dei progetti illustrati in 128 pagine e per un importo di 200 miliardi in poche ore con una pec inviata alle due di notte, se non è quello il favore delle tenebre non saprei dire».
In passato il M5S avrebbe chiesto le dimissioni, ora tace. Siamo di fronte a un caso di garantismo a senso unico?
«È evidente: i 5S si sono sempre mostrati durissimi con gli altri e garantisti con i loro, spesso anche oltre l'omertà. Ma qui non si tratta di garantismo ma di trasparenza».
Conte, alla luce di questo caso, dovrebbe dimettersi?
«Italia
Viva ha chiesto un cambio di rotta, è evidente che così non si può andare avanti. Io mi spingerei anche oltre, ma mi rimetto alla posizione del partito. Se questo cambio concreto non arriva da lui, arriverà dal Parlamento».
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