«Abbiamo bisogno del Mes» per sbloccare altre risorse da dedicare alle imprese. Questa l'opinione di Maurizio Gardini, presidente di Conserve Italia (maggiore coop agroalimentare italiana) e di Confcooperative, nonché co-presidente dell'Alleanza delle Cooperative che con Confindustria, Abi e altre sei sigle ha rivolto al governo un appello a non cincischiare sui fondi Ue e a rilanciare gli investimenti. L'alternativa è mettere le mani sul risparmio degli italiani
Presidente Gardini, avete invitato il governo a sfruttare tutti i fondi europei. Qual è il punto di vista di Confcooperative?
«Siamo molto, molto preoccupati. I provvedimenti, pur importanti, che il governo ha messo in campo tardano a concretizzarsi. Il nostro è un grido di allarme perché cogliamo nelle nostre imprese la difficoltà non solo di ripartire ma di adottare politiche aziendali che consentano di guardare avanti. Ecco perché abbiamo bisogno di avere a disposizione tutte le risorse. Il Recovery Fund arriverà nel tardo autunno e quindi abbiamo bisogno del Mes che, finanziando gli investimenti necessari nella sanità, consentirebbe di dedicare altre risorse alle imprese attraverso investimenti pubblici, soprattutto nelle infrastrutture, e di concentrarsi di più sui settori più sensibili come quello del turismo».
M5s al governo e all'opposizione Lega e Fdi sono contrari. Per voi, senza Europa non ci sono prospettive?
«Siamo in una situazione drammatica perché il debito pubblico è elevato. O accogliamo le risorse dell'Europa, ed è chiaro che nessuno invoca la Troika o commissariamenti vari. Oppure, se non vogliamo i soldi dell'Europa, c'è solo una strada: chiedere agli italiani un sacrificio. Noi siamo contro la patrimoniale e quindi, visto che nelle banche ci sono 1.400 miliardi di risparmi, andrebbero investiti in titoli del debito pubblico a lunga scadenza. Se non vogliamo soldi dall'Europa, qualcuno deve tirarli fuori perché non si fanno le nozze coi fichi secchi».
La politica economica anticrisi è stata piuttosto sbilanciata sui sussidi. Cosa pensa in proposito?
«Fino al decreto Rilancio gli interventi sono stati molto sbilanciati sugli ammortizzatori sociali. L'intento era di non lasciare indietro nessuno ma è necessaria una politica per l'impresa perché sono le imprese che creano posti di lavoro, Ci vuole un nuovo patto sociale avendo bene in mente qual è il modello di sviluppo da seguire. Quando finiranno le risorse in autunno, rischiamo di trovarci con una marea di licenziati, la situazione sarà insostenibile ed esploderà la rabbia sociale. I gilet arancioni sono un primo segnale».
In tema di «nuovo contratto sociale», come ha detto il governatore Visco, la flessibilità dei contratti di lavoro sembra accantonata.
«Ritengo che siano maturi i tempi per affrontare una visione contrattuale diversa che rilanci produttività e flessibilità. Bisogna in qualche misura superare certi schemi. Flessibilità e defiscalizzazione dei premi di risultato sono obiettivi che consentono di salvaguardare il lavoro, rilanciare le imprese e mettere più soldi in tasca ai dipendenti, penalizzati da un cuneo fiscale elevatissimo. Sono maturi i tempi per rilanciare la discussione su previdenza e fiscalità. Ma questi temi arrivano dopo il rilancio industriale del Paese».
Il presidente di Confindustria Bonomi ha detto che la politica potrebbe fare più danni del Covid. Lo pensa anche lei?
«Ho coltivato la speranza che la crisi potesse portare le forze di maggioranza e di opposizione ad
accordarsi su questioni utili per il Paese, ma non si è concretizzata. Abbiamo bisogno di trovare un interlocutore forte nella politica e abbiamo bisogno di una politica che litighi di meno. Ecco perché l'abbiamo sollecitata».
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