"Ci tirano addosso di tutto, un miracolo uscirne vivi". I racconti dei poliziotti

Un agente: "Ho visto un collega perdere due dita". Il caso infiltrati

"Ci tirano addosso di tutto, un miracolo uscirne vivi". I racconti dei poliziotti
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A Bologna non se l'aspettavano. Pensavano che sarebbe stata una cosa piccola, un presidio di studenti, forse poi un corteo breve. «Tenga conto che eravamo tre squadre di Firenze, una di Bologna e una dei Carabinieri. Ci siamo dovuti spostare a piedi come trottole noi per fortuna ci eravamo preparati, il capo era stato accorto. Non si fidava del clima di calma. A un certo punto si sentono le grida: Sono partiti, son partiti. Ed è iniziato subito lo scontro. Loro erano organizzati per fare violenza. Ci hanno tirato addosso una valanga di roba. Non ha idea quanta. Le mando il filmato. Guardi l'immagine dello scudo dove è scoppiata la bomba carta. Io ero lì dietro. La bomba ha spezzato lo scudo del mio collega. Un miracolo che sia ancora vivo». Ho parlato con chi ha dovuto fronteggiare le guerriglia di sabato a Bologna, Roma, chi ha vissuto tante piazze. Chiedono solo l'anonimato, perché - il paradosso è questo - finisce che sono i poliziotti i clandestini. Sentiamo un'altra voce. Chi parla ora è un poliziotto figlio di poliziotto e nipote di poliziotto. Suo padre era in piazza nel 1960 quando comunisti e socialisti misero sotto assedio Genova, l'Emilia, la Sicilia. Le manifestazioni contro Scelba e Tambroni. Questo poliziotto di lungo corso mi racconta come si prepara una manifestazione. «Si verifica in quale scenario si svolgerà, quali sono i punti sensibili, dove schierare gli uomini, si stabiliscono le regole di ingaggio. Noi siamo sempre con un rapporto di forze a nostro svantaggio. Le dico una cosa: il primo pessimo segnale è quando manca il dialogo con gli organizzatori. Noi cerchiamo sempre di averlo. Se questo dialogo non c'è vuol dire che ci saranno scontri. E andiamo preparati. Noi siamo professionisti seri. Siamo consapevoli del ruolo: tutti. E guardi che negli ultimi tempi noi ci siamo trovati di fronte a infiltrati che avevano (e hanno) una sola ragione per stare in strada: aggredirci. Sono molto pericolosi. Ricordo mio padre, quel giorno che salì a casa e aveva preso addosso una bottiglia incendiaria. Puzzava di benzina. Io gli chiesi se quel giorno sarebbe morto, e mia madre, che non mi aveva mai sfiorato, mi tirò un ceffone. E ricordo il nome dei miei colleghi uccisi durante le manifestazioni negli anni '60 e '70, come Annarumma come Custra. La vita del poliziotto è questa. Noi non possiamo nemmeno immaginarla. Una cosa è affrontare i rischi del mestiere un'altra cosa è sapere che uno va lì a lavorare e deve affrontare la violenza. L'odio. L'assalto». Sento un altro «combattente» della polizia. Uno che ne ha viste tante in piazza. Le ha prese, ha visto tanti suoi colleghi finire all'ospedale. Mi racconta di quel ragazzo che prese una sprangata in faccia durante gli scontri a Roma per una partita contro lo Spartak Mosca. Mi racconta di quello travolto da un masso lanciato dai no-Tav. Mi racconta di una volta che i tifosi, a Bergamo, lanciarono un fumogeno contro un gruppo di disabili. «Un mio collega, per proteggere i disabili prese il fumogeno con la mano, ma il fumogeno era collegato con una bomba carta che esplose e gli portò via due dita». Mi dice che il mestiere del poliziotto è molto complicato. «Noi andiamo in piazza per fare i sociologi, gli psicologi, dobbiamo capire chi abbiamo di fronte. Non abbiamo solo facinorosi. Molti sono ragazzi a posto. Il nostro mestiere è questo: capire, interpretare, anche parlare, dialogare. Cosa crede che se mi trovo di fronte un operaio che ha perso il lavoro, e che grida a squarciagola, e che è furioso, crede che io non lo capisca? Questo rende ancora più difficile il lavoro nostro. Vede, nessuno fa il poliziotto se non sente la missione. Sì, non esagero, il poliziotto è uno che accetta una missione. Sennò crede che per millecinquecento euro al mese accetterebbe il rischio? No, poliziotto non è solo repressione. La repressione è l'ultima cosa. Noi siamo lì soprattutto per tutelare la libertà e la sicurezza di chi manifesta. Poi, sa, ci sono dei problemi chiari, che ci fanno arrabbiare. Le faccio un esempio.

Un extracomunitario mi fa il segno che mi taglia la gola. Io lo prendo, lo porto al commissariato, due fotografie, una denuncia per minacce a pubblico ufficiale, dopo due ore lo incontro di nuovo in piazza e mi sorride. Come per dirmi: E perché dovrei avere paura di te?».

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