Entra in campo Pechino, e non è detto che sia un bene. Quasi pregata dall'assai nominale capo della diplomazia europea, Josep Borrell, di «esercitare la sua influenza sulla Russia per ottenere un cessate il fuoco in Ucraina», la Cina è infatti tutt'altro che un attore terzo in questa drammatica crisi internazionale. Ci ha subito tenuto a ricordarlo a tutti anche a quanti continuano a blaterare della necessità di «evitare che Vladimir Putin finisca con l'abbracciare Xi Jinping»: è già ampiamente accaduto il ministro degli Esteri cinese Wang Yi nell'accettare la richiesta di impegno diplomatico del suo Paese. «La nostra amicizia con la Russia è la conseguenza storica di nuove realtà, ed è solida come la roccia ha scandito Wang davanti alle telecamere -. Essa ha forti radici nel presente e continuerà così nel futuro».
Si tratta della ormai nota scelta di una sfida comune delle due dittature russa e cinese all'egemonia mondiale degli americani e dei loro alleati. Putin e Xi si sono pubblicamente e calorosamente promessi reciproco sostegno nell'arena internazionale in occasione dell'apertura delle recenti Olimpiadi invernali di Pechino, ma anche già in precedenza. Non a caso, all'Onu e non solo, Pechino ha evitato di condannare l'invasione russa dell'Ucraina e perfino di accettare di definirla tale: così facendo, sottoscrive l'abnorme pretesa di Putin che si tratti soltanto di una «operazione militare speciale» avente lo scopo di conseguire legittime garanzie per la sicurezza nazionale della Russia. Come dunque ci si possa aspettare che una mediazione cinese su questa guerra si riveli vantaggiosa per qualcun altro che non sia Putin, è difficile comprenderlo. Probabilmente Europa e Stati Uniti cercano di «stanare» la Cina e costringerla a prendere posizioni che scontentino Mosca, ma pare improbabile che questo avvenga.
È noto che Pechino ha importanti interessi economici in Ucraina, ma anche se Putin la inglobasse questi rimarrebbero intatti. Semmai, l'Occidente confida in altri punti di disaccordo potenziale tra Cina e Russia: in ambito internazionale, Xi insiste sempre sul concetto di «rispetto dell'integrità territoriale di ogni Paese», e questo perché vuole precludere appigli nel suo Paese ai separatisti tibetani e del Xinjiang, oltre che negare a Taiwan spazio per una prospettiva di indipendenza ufficiale. Per questa ragione (e solo per questa) la Cina non può approvare esplicitamente una futura annessione dell'Ucraina alla sua alleata Russia. E solo per questo Putin continua a negare di voler cancellare dalla carta geografica un'Ucraina di cui nega il diritto a esistere come nazione, «limitandosi» a pretenderne l'asservimento.
Non è comunque un caso se Wang, nell'anticipare i sei punti della possibile mediazione cinese per l'Ucraina, eviti con cura di nominare il suo diritto a difendersi e ad autodeterminare la sua collocazione internazionale. Il ministro cinese si concentra sulla «promozione di colloqui tra Russia e Ucraina» (che abbiamo già visto essere solo ricatti russi) e sulla «prevenzione di una crisi umanitaria su larga scala». I sei punti del «ruolo costruttivo» cinese consistono quindi solo in promesse di favorire aiuti ai profughi e significativamente di un'iniziativa per «il rispetto dei principi di giustizia e neutralità»: ossia, far valere le pretese russe sull'Ucraina.
Wang cerca anche di dividere europei e americani. Ai primi chiede di «opporsi alla nuova guerra fredda», del cui insorgere incolpa i secondi. In particolare critica il disegno americano di costruire «una nuova Nato nell'Indo-Pacifico» come se quest'alleanza non stesse nascendo per reagire all'espansionismo cinese nella regione e mette in guardia Washington dal sostenere Taiwan.
Le questioni dell'Ucraina e di Taiwan sono di natura diversa, sostiene Pechino, perché Taiwan «è parte della Cina e dovrà tornare all'abbraccio nazionale». Abbraccio che Taiwan respinge per quello che è, cioè una minaccia di aggressione identica a quella russa a Kiev: il governo di Taipei si dice anzi «ispirato» dalla resistenza dell'Ucraina.
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