Il giorno dopo la conferma dell'ergastolo a Massimo Bossetti, dopo le sue lacrime alla lettura della sentenza. Dopo che mezza Italia ha seguito in piena notte le ultime battute del processo d'Appello per l'omicidio di Yara Gambirasio in diretta da Quarto Grado su Rete 4, a parlare è soprattutto la difesa. Poche parole dai genitori della giovane vittima: «Abbiamo accolto la sentenza con la serenità di sempre». Commenti articolati e amari invece da parte dei legali del carpentiere di Mapello.
«Bossetti è rimasto impietrito alla sentenza - spiega l'avvocato Claudio Salvagni -. Confidava nella perizia, è molto provato». Il legale si riferisce alla richiesta avanzata durante il processo di disporre nuove analisi del Dna, la prova regina che ha convinto anche i giudici di secondo grado. Oggi Salvagni, difensore insieme all'avvocato Paolo Camporini, visiterà Bossetti nel carcere di Bergamo. Poi aspetterà le motivazioni del verdetto (tra 90 giorni), per preparare il ricorso in Cassazione. In aula a Brescia lunedì c'era anche Ester Arzuffi, la madre dell'imputato, con la moglie Marita Comi e la gemella Laura Letizia. «Ho provato un grandissimo dolore nel vedere mio figlio piangere», ha detto Ester al suo avvocato, Benedetto Maria Bonomo.
«Sono un avvocato e quando sento la parola ergastolo fa sempre effetto - ha dichiarato Enrico Pelillo, che assiste i Gambirasio -. Però sono soddisfatto. Le carte processuali dicono che la sentenza andava confermata. Sono contento che la Corte si sia presa il tempo per vagliare il lavoro del primo processo». L'avvocato Salvagni invece riparte da una provocazione: «Che il Parlamento faccia una norma - ha detto a Radio Anch'io - per cui se c'è il Dna non facciamo nemmeno il processo. Altrimenti è una farsa». Resta convinto che l'analisi che ha confrontato il campione genetico di «Ignoto 1» con quello di Bossetti, portando alla sbarra quest'ultimo, presenti «numerose anomalie». E che la procedura seguita «non ha rispettato» i criteri scientifici internazionali. «Un clamoroso errore giudiziario - continua il legale -. Mi sembra che questo sia un processo più a difesa dell'indagine svolta che non per giudicare un uomo». L'ultima speranza: «Confido nella Cassazione, dove si parla di diritto e non di merito per vedere riconosciute le nostre ragioni sul Dna e rifare il processo. Altrimenti vorrebbe dire che siamo ripiombati nel Medioevo del diritto. Ci sono protocolli internazionali sulle modalità di analisi del Dna che ci danno ragione. Bossetti non ha potuto difendersi, l'esame è stato fatto senza garanzie per la difesa». La traccia biologica trovata sugli indumenti di Yara combacia al 99,9 per cento con il Dna nucleare di Bossetti. Non è invece stata trovata corrispondenza con il Dna mitocondriale, che si trasmette per linea esclusivamente materna. Per l'accusa, per la maggior parte degli esperti di genetica forense e anche fin qui per i giudici, il Dna nucleare è sufficiente condannare un sospettato. Per la difesa invece, «è un mezzo Dna contaminato» e il processo è quindi «indiziario». Conclude Salvagni: «In questi casi la legge dice che è necessario conservare il 50 per cento del campione biologico per dare all'imputato la possibilità di effettuare altre verifiche. Se poi gli inquirenti fanno gli sciuponi e hanno utilizzano tutto il campione, non danno modo di effettuare le indagini difensive. Nel dubbio l'imputato va assolto. Non possiamo accontentarci di un colpevole qualsiasi, deve esserci un vero colpevole». Le oltre 15 ore di camera di consiglio hanno fatto pensare a dissidi nella Corte. In particolare tra i giudici togati, il presidente è Enrico Fischetti, e quelli popolari.
Sarà toccato ai primi spiegare ai colleghi i nodi più tecnici. Per poi raggiungere - così sarebbe andata - una decisione all'unanimità. Tuttavia, si spiega in ambienti giudiziari, è stata una camera di consiglio del tutto «normale» per un caso tanto complesso.
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