Gli Stati Uniti sfoderano il jolly Barack Obama alla Cop26 di Glasgow, per dimostrare al mondo che, dopo il disimpegno di Donald Trump, «sono tornati e si muovono in modo più audace» nella lotta al cambiamento climatico. Lo sottolinea orgoglioso l'ex presidente americano durante una tavola rotonda con una decina di giovani attivisti alla Conferenza Onu sul clima, in cui ricorda di essere cresciuto da «bambino isolano» alle Hawaii, proprio in un momento in cui «le isole sono il campanello d'allarme» della crisi climatica. Ma il leader-icona che trascinò i giovani alle urne, che divenne il simbolo della «speranza» e del «cambiamento» negli States e nel mondo, e che mise la firma sull'Accordo di Parigi nel 2015, in una sorta di impietosa legge del contrappasso finisce adesso sotto attacco dalla nuova stella dell'ambientalismo giovane e radicale, Vanessa Nakate. L'attivista ugandese fa apparire l'Obama di oggi, 60 anni, un vecchio pezzo dell'establishment, colpevole dei bla bla che hanno portato al disastro.
L'ex leader statunitense si prende la scena in Scozia, esorta i giovani a «rimanere arrabbiati», «a spingere per pretendere sempre di più, perché è ciò che serve per far fronte alla sfida» sul clima. Ma Nakate, l'ambientalista di appena 24 anni che, proprio come Obama, ha trasformato la sua pelle nera in un manifesto, usa la propria rabbia per rubargli la scena e inchiodarlo alle sue responsabilità. Dopo aver avvertito dal Youth4Climate di Milano che «non si può avere giustizia climatica senza giustizia razziale», che l'Africa «è responsabile soltanto del 3% delle emissioni globali di Co2, ma ne subisce molto di più le conseguenze», Vanessa ha rincarato la dose ieri da Glasgow. «Signor Obama, avevo 13 anni quando ha promesso 100 miliardi per il clima - ha scritto su Twitter nel giorno dell'intervento dell'ex presidente, che segna anche il ritorno di Obama sulla scena internazionale - Gli Stati Uniti hanno infranto quella promessa e tutto ciò costerà vite in Africa». L'affondo è diretto non solo a Obama: «Il paese più ricco della Terra non contribuisce abbastanza ai fondi salvavita. Lei vuole incontrare i giovani. Noi vogliamo azione. Obama e Potus (il presidente Usa), #ShowUsTheMoney»», mostrateci i soldi. Una stilettata proprio mentre la voce di Obama si levava contro i rivali geostrategici di Washington. «È stato particolarmente scoraggiante vedere i leader di due dei Paesi più inquinanti al mondo, Cina e Russia, rifiutare di presentarsi» a Glasgow, ha detto Obama. Sembra «un desiderio di mantenere lo status quo. È una vergogna».
Ma a vergognarsi, ora, di fronte all'ondata di critiche della nuova generazione verde in lotta per un futuro sostenibile rischia di essere proprio Obama, nella sua nuova veste di paladino Usa per l'ambiente, specie se - come si vocifera - dovesse prendere il posto di John Kerry come inviato speciale della Casa Bianca per il clima, nel caso in cui Kerry tornasse Segretario di Stato. Le nuove generazioni sembrano piuttosto ostili e Greta Thunberg, con la quale avrebbe dovuto vedersi a Glasgow, ha fatto ritorno a casa senza incontrarlo. Tra l'altro - paradosso dei paradossi che rischia di far infuriare le paladine dell'ambiente - nella prima bozza del documento politico finale di Cop26 diffuso dal presidente Alok Sharma, non vengono mai citati i combustibili fossili. Uno smacco per chi si aspettava una svolta anche nel linguaggio.
Obama, però, tira dritto. Dopo un apparente mea culpa - «non abbiamo fatto abbastanza» - scarica le responsabilità su Trump per «quattro anni di ostilità attiva alla scienza climatica», ma si dice fiducioso che Joe Biden «metterà gli Usa sulla strada giusta». La sfida sarà «convincere chi non è d'accordo o è indifferente» e «aiutare i Paesi più vulnerabili».
Per questo invita i giovani a fare pressione sui governi: «Votate come se la vostra vita dipendesse da questo, perché è così». D'altra parte, ammette, «il mondo è pieno di Greta oggi». Ma non è detto che questo sia un buon segnale per il nuovo Obama green.
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