Subito sul Colle, a riferire. Dopo sette camicie sudate e cento ore di trattativa, Giuseppe Conte si presenta dal capo dello Stato convinto di essere ben saldo in sella, anche più di prima. «Il governo italiano è forte e l'approvazione di questo piano irrobustisce la nostra azione». Niente crisi, nessun governissimo. «Ora avremo una grande responsabilità. Con 209 miliardi abbiamo la possibilità di far ripartire e cambiare volto al Paese». Sergio Mattarella non condivide tanto entusiasmo. Certo, esprime «apprezzamento e soddisfazione», considera l'accordo «importante perché rafforza il ruolo dell'Unione», poi però riporta il premier con i piedi per terra. «Adesso ci sono le condizioni perché l'Italia possa predisporre rapidamente un concreto ed efficace programma di interventi», il succo del discorso del presidente, dove «rapidamente», «concreto» ed «efficace» sono i concetti chiave: caro primo ministro, abbiamo i soldi, cerchiamo di spenderli bene.
Riforme, riforme, riforme, questa dunque la linea tracciata dal Quirinale. Se Conte l'ha sfangata grazie all'appoggio determinante di Merkel e Macron, è merito pure di Mattarella e del suo paziente lavoro diplomatico con Parigi e Berlino. E se Conte vorrà restare a lungo a Palazzo Chigi, dovrà smetterla di galleggiare, cambiare registro, piantarla con i decreti, consultare opposizioni e parti sociali. Lui dice che lo farà. «Dobbiamo correre, presto partirà la task force sul piano di rilancio, avremo un quadro più chiaro dopo il confronto con il centrodestra». Ma sul punto principale, il Mes, non sembra voler cedere. «La mia posizione non è cambiata, il meccanismo di stabilità non è un nostro obbiettivo. Noi vogliamo valutare il quadro di finanza pubblica e utilizzare tutti gli strumenti possibili nell'interesse del Paese. E il piano appena approvato a Bruxelles è adeguato alla crisi, per i sussidi e per i prestiti molto vantaggiosi».
Il fatto è che non si tratta di denaro cash. Ben che vada, i primi miliardi del Recovery fund arriveranno non prima della prossima primavera: nel frattempo i margini di bilancio per fare nuovo deficit e per piazzare i titoli sui mercati saranno più stretti. Il terzo scostamento di venti miliardi, che probabilmente il governo chiederà al Parlamento a fine mese, sarà l'ultimo possibile. E dopo, come si andrà avanti in attesa del Recovery? Ci sarebbe il Mes, 36 miliardi a tasso bassissimo, soldi pronti, disponibili, da usare per la sanità. Ma i Cinque stelle non ci stanno, ne fanno una questione di bandiera, considerano il Meccanismo di stabilità un'ingerenza negli affari interni, una cessione di sovranità agli euroburocrati. Senza i grillini al Senato non ci sono i numeri. O ci sono, ma con Forza Italia. In entrambi i casi cadrebbe il governo.
Altro problema: i 209 miliardi esistono solo sulla carta. Prima di ottenerli bisogna presentare un piano credibile, farselo approvare dalla Commissione Ue e cercare di ottenere il via libera da una maggioranza qualificata degli Stati dell'Unione, sperando che Rutte o qualche altro frugale non tiri il famoso «freno di emergenza» in grado, se non di bloccare, almeno di rallentare gli stanziamenti. L'Italia insomma resta un sorvegliato speciale. Magari, come pensa Mattarella, essere sotto controllo è la condizione ottimale per preparare riforme attese da decenni. Chissà. «Giusto che ci sia un sistema di verifiche - dice il premier - perché sono fondi europei. Ma era inaccettabile che un singolo Paese avesse il diritto di veto».
Conte è gasato, euforico: oggi riferirà a Camera e Senato i termini dell'intesa.
Palazzo Chigi ha fatto confezionare un video tipo film Luce con musica di sottofondo per celebrare la «vittoria» di Bruxelles. Ma adesso per il premier comincia la fase più difficile: dimostrare che dell'Italia, nonostante il governo più precario e la maggioranza più spaccata della storia, ci si più fidare.
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