Le colombe Bessent e Lutnick firmano la svolta buonista della Casa Bianca

I due ministri hanno prevalso sulla linea oltranzista. Dodici Stati Usa fanno causa al tycoon per i balzelli

Le colombe Bessent e Lutnick firmano la svolta buonista della Casa Bianca
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Il Ciclone Trump che si è abbattuto sull'America e sul mondo, ridisegnando le regole del potere esecutivo, riallineando i centri di potere interni al credo America first e ridefinendo i rapporti strategici e commerciali degli Usa col resto del mondo ha finora trovato un solo, efficace avversario: la Borsa. È l'analisi, lucida, che il Wall Street Journal fa di questi primi tre mesi di presidenza, alla luce dei continui segnali che i mercati stanno lanciando all'amministrazione Usa e che il tycoon, sembra a volte recepire e a volte respingere, a seconda dell'andamento di giornata degli indici azionari, dei rendimenti dei bond e, presumibilmente, dell'umore. Un'incertezza che si riflette all'interno della Casa Bianca, nell'entourage più vicino al presidente, dove per il momento sembrano prevalere i pompieri, come il segretario al Tesoro Scott Bessent, protagonista, secondo un retroscena di Axios, di una furiosa lite nello Studio Ovale con Elon Musk, sebbene su tematiche fiscali. Emarginati, per ora, gli incendiari come il consigliere commerciale Peter Navarro, scomparso da giorni dai radar.

Altri, da falchi si sarebbero trasformati in colombe, come il segretario al Commercio Howard Lutnick, ora allineato con le tesi di Bessent, se è vero che proprio loro due hanno convinto il tycoon prima ad annunciare la pausa di 90 giorni sui dazi (Cina esclusa) e poi ad ammorbidire i toni nei confronti di Pechino. Nonché a rinunciare (per ora) all'idea di licenziare il presidente della Fed, Jerome Powell, un'altra minaccia che aveva affossato i mercati.

Questo, mentre ben 12 Stati Usa hanno fatto causa all'amministrazione, ritenendo illegali e dannose per l'economia americana le decisioni di Trump sui dazi. Un'azione che nell'immediato non avrà effetti pratici, ma che potrebbe approdare fino alla Corte Suprema, con esiti imprevedibili. Lo scontro commerciale con la Cina «non è sostenibile», ha ammesso Bessent, impegnato in questi giorni nei lavori del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale, in corso a Washington. E proprio l'Fmi ha messo in guardia dagli effetti dei dazi di Trump, che potrebbero pesare per lo 0,5% sulla crescita dell'economia mondiale. Una stima prudente, ma un altro segnale che ha portato il tycoon ad ammorbidire i toni. Le tariffe del 145% a Pechino sono "veramente alte", ha ammesso. Eppure, ha assicurato, i contatti con la Cina sono «quotidiani» e nel giro di «due-tre settimane» ci sarà un accordo. «Non c'è nessun progresso nelle trattative», si è affrettato a smentire il ministero del Commercio cinese. Di nuovo, Trump parlando ieri ha assicurato che «c'è stato un incontro stamattina».

Nel frattempo, il Financial Times ha rivelato che l'amministrazione Usa sta valutando una parziale esenzione dai dazi per le case automobilistiche Usa: componenti provenienti dalla Cina, acciaio e alluminio di importazione. Hanno pesato le telefonate e gli incontri con i vertici delle Big Three - Ford, General Motors, Stellantis.

Così come sta pesando la cena dei giorni scorsi alla Casa Bianca tra Trump e i ceo dei giganti della grande distribuzione Usa - Target, Walmart, Home Depot - che hanno messo in guardia il presidente dagli effetti inflazionistici della sua politica commerciale.

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