«Un colpo mortale al negoziato». Così un anonimo negoziatore israeliano citato dal quotidiano Haaretz definiva ieri le condizioni messe sul tavolo sabato dal premier Benjamin Netanyahu per garantire il proseguimento delle trattative con Hamas condotte attraverso il premier del Qatar Mohammed bin Abdulrahman al-Thani e altri delegati dell'Emirato. In effetti le condizioni sono apparse subito come un capestro capace di condizionare negativamente il vertice di ieri a Roma. Un vertice nel corso del quale il premier del Qatar, il numero uno del Mossad David Barnea, il direttore della Cia William Burns e il capo dell'intelligence egiziana Abbas Kamel dovevano riallacciare il filo della trattativa sugli ostaggi. Ma la rapidità con cui il capo del Mossad ha concluso l'incontro rientrando in Israele già a metà pomeriggio basta a far capire quanto fosse remota la possibilità di un'intesa. A rendere il tutto ancor più ostico ha sicuramente contribuito il missile di Hezbollah che sabato sera ha fatto strage di ragazzini a Majdal Shams, la cittadina drusa situata sulle alture del Golan controllate da Israele. Quel missile ha chiaramente rimodulato le urgenze dell'esecutivo Netanyahu, pronto a rimandare la trattativa sugli ostaggi per dare priorità alla rappresaglia contro le infrastrutture di Hezbollah in Libano. Anche senza quel missile le speranze di un successo del summit romano apparivano comunque limitate.
Le tre condizioni «non negoziabili» poste da Netanyahu escludono il ritorno nel Nord della Striscia dei palestinesi legati ai gruppi armati, prevedono che il lato nord della Striscia delimitato dal cosiddetto «Corridoio Philadelphi» resti sotto controllo israeliano ed esigono una lista precisa degli ostaggi ancora in vita per trattarne la liberazione. Tre richieste definite da Hamas non in linea con le precedenti trattative e quindi respinte senza neppure prenderle in considerazione. Ciò non toglie che le nuove condizioni siano state criticate dagli stessi negoziatori israeliani. «I servizi di sicurezza - ha spiegato la fonte di Haaretz - avrebbero potuto gestire le problematiche anche senza l'inserimento di quel meccanismo» - aggiungendo che il governo Netanyahu «mette a rischio le vite degli ostaggi in maniera sconsiderata».
Detto questo, il vertice tra Mossad, Cia servizi egiziani e il premier qatariota non è stato vano, ma è servito ad affrontare il tema della rappresaglia israeliana sul Libano. Il timore americano non è quello di un pesante, quanto imminente, attacco alle infrastrutture missilistiche di Hezbollah nel sud del paese, ma di un pesante bombardamento delle zone di Beirut che ospitano i quartieri generali del Partito di Dio. Questo rischierebbe di rendere sempre più ingestibile la situazione di un Libano già allo stremo. E soprattutto rilancerebbe i sentimenti anti-israeliani contribuendo a restituire a Hezbollah una parte dei consensi perduti nel corso della crisi politica, sociale ed economica attraversata negli ultimi cinque anni dal Paese dei Cedri.
Dunque con tutta probabilità il capo della Cia, il premier qatariota e il capo dell'intelligence egiziana (pure lui alle prese con un'opinione pubblica assai influenzata dagli avvenimenti regionali) ne hanno approfittato per premere su Barnea e convincerlo a contenere la portata della rappresaglia evitando bombardamenti sulla capitale e sui centri abitati.
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