«Ho scelto di vivere in Svezia perché è la patria del cuore e del pensiero libero. È una nazione che riconosce la libertà degli individui di criticare e mettere in discussione le religioni». Confidava queste parole, non più tardi di un mese fa al quotidiano Dagens Nyheter di Stoccolma, Salwam Momika, il 38enne di origini irachene diventato famoso nel 2023 per aver bruciato pubblicamente in quattro occasioni le pagine del Corano, e trovato morto mercoledì sera nella sua abitazione con almeno un foro di proiettile alla nuca.
Per gli inquirenti si sarebbe trattato di una vera e propria esecuzione, persino filmata visto che negli stessi istanti Momika era in diretta su TikTok. Nel video si sente l'uomo domandare «chi c'è?», il cellulare cade a terra, mentre le tende svolazzano, poi il rumore di quelli che potrebbero essere colpi di pistola. Cinque persone, tra i 20 e i 60 anni (4 di loro in un appartamento vicino alla scena del delitto), sono state arrestate dalle forze dell'ordine con l'accusa di omicidio, fa sapere il procuratore Rasmus Ohman, che sta conducendo le indagini, ma l'impressione è che le ricerche non si fermeranno agli uomini al momento condotti in carcere.
Intorno alle 23 dell'altra sera la polizia era stata allertata nel quartiere di Hovsjo a Sodertalje (30 km da Stoccolma), dopo che erano sono stati uditi colpi di arma da fuoco all'interno di un condominio. Sul pavimento il corpo privo di vita di Salwam, inutile la corsa all'ospedale. Secondo quanto raccontato dall'avvocato della vittima, Anna Roth, i killer sarebbero entrati nell'appartamento dal balcone.
Nel 2023, Momika aveva inscenato diversi roghi del libro sacro dell'islam, scatenando polemiche a livello nazionale e sollevando la rabbia di diverse nazioni musulmane, fino a provocare disordini, rivolte anti-svedesi, con un conseguente aumento del livello di minaccia terroristica. Il caso ovviamente ebbe una forte risonanza mediatica, soprattutto perché uno dei roghi avvenne il 24 giugno di quell'anno, a tre giorni dall'inizio delle celebrazioni musulmane dell'Eid al-Adha, la Festa del Sacrificio. Per queste ragioni lo scorso agosto, insieme al co-manifestante Salwan Najem, era stato rinviato a giudizio per incitamento all'odio razziale e religioso.
Proprio oggi il tribunale di Stoccolma avrebbe dovuto decidere se la vittima, irachena di religione cristiana, fosse colpevole. Una coincidenza che getta ulteriori ombre su quanto accaduto a Sodertalje. Nei mesi scorsi Momika era stato aggredito in strada due volte: in una circostanza fu picchiato da un uomo che indossava guantoni da boxe. La città irachena di Al Qufa aveva persino promesso una ricompensa di due milioni di dollari e un Corano fatto di due chilogrammi d'oro a chiunque lo avesse ucciso.
Nel marzo del 2024, Momika aveva lasciato la Svezia per chiedere asilo in Norvegia, ma era stato espulso dopo poche settimane. I suoi account sui social media raccontano un'esistenza e una carriera politica irregolare in Irak, e in queste ore, purtroppo, sono zeppe di frasi del tenore «missione compiuta».
Analizzando il suo passato, emergono legami con una fazione armata cristiana durante la lotta contro lo Stato Islamico, la creazione di un partito vicino alle posizioni siriane e un breve arresto. Momika ha anche partecipato alle proteste anti-corruzione che investirono Baghdad il 4 ottobre 2019, nella cui repressione, insabbiata dalle autorità locali, morirono 612 persone.
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