Si chiude con il più clamoroso dei verdetti il 2023 in cui la politica americana è stata dominata dai guai giudiziari di Donald Trump. Con una maggioranza di 4 a 3 i giudici della Corte Suprema del Colorado (tutti di nomina Democratica) hanno bandito il tycoon dalle primarie repubblicane del 5 marzo. L'argomento giuridico è quello della sezione 3 del 14° emendamento della Costituzione, adottato nel 1868, tre anni dopo la fine della Guerra Civile: chiunque abbia giurato sulla Costituzione e poi abbia preso parte a un'insurrezione contro gli Stati Uniti è bandito da cariche pubbliche. Allora, lo scopo era impedire che gli ex confederati tornassero al potere.
Fino alla decisione di martedì sera in Colorado, gli altri tentativi attraverso i tribunali di impedire a Trump di candidarsi erano stati bocciati. Nello stesso Colorado, un giudice di grado inferiore il mese scorso aveva stabilito che quel passaggio dell'emendamento non si applicava alla presidenza. Ora le Corti Supreme di altri Stati potrebbero essere incoraggiate a cancellare il nome di Trump dalle schede elettorali. Per il tycoon è questa, più che i quattro processi penali a suo carico (tra cui quello a Washington per i fatti del 6 gennaio, nel quale però non è accusato di «insurrezione»), la minaccia più concreta per il suo ritorno alla Casa Bianca. E tuttavia, i giudici del Colorado hanno sospeso l'applicabilità del loro giudizio fino al 4 gennaio, in attesa di un eventuale ricorso alla Corte Suprema degli Stati Uniti, giudice ultimo della Costituzione.
È una decisione «completamente sbagliata» e «antiamericana», ha detto il portavoce della campagna di Trump, Steven Cheung, annunciando immediatamente l'appello che costringerà la Corte Suprema a pronunciarsi due volte. Sul ricorso presentato dal procuratore generale Jack Smith, che per aggirare la melina di appelli messa in atto dai legali di Trump per rimandare l'inizio del processo per i fatti di Capitol Hill, fissato al 4 marzo, ha chiesto ai nove giudici di Washington di pronunciarsi rapidamente sulla questione dell'immunità dell'ex presidente. Il secondo, appunto, quello del Colorado. Giudizi che avranno un impatto decisivo sulle prossime elezioni presidenziali. La maggioranza della Corte è conservatrice (tre giudici nominati da Trump) ma i «justices» potrebbero riconsegnare il partito all'establishment mettendo fine alla caotica stagione politica del tycoon.
Joe Biden, solitamente cauto nel parlare delle vicende giudiziarie di Trump, stavolta ha fatto un'eccezione: «Se il 14° emendamento si applica o no lo lasceremo decidere alla Corte Suprema, ma certamente ha sostenuto un'insurrezione. Non c'è dubbio». Lui, Trump, abilissimo finora a capitalizzare sui suoi guai giudiziari, sul suo social Truth ha rilanciato le consuete accuse di «interferenza nelle elezioni», parlando di un «giorno triste per l'America». Anche i suoi avversari più accesi, però, come Chris Christie, mettono in guardia dai rischi di un'esclusione elettorale per via giudiziaria. «Non dovrebbe essere un tribunale a impedirgli di candidarsi», ha commentato l'ex governatore del New Jersey, ancora in corsa per la nomination repubblicana.
Sulla stessa linea anche Nikki Haley, che come alternativa emergente tra i Gop potrebbe essere la prima beneficiaria delle decisioni della Corte Suprema: «Donald Trump non dovrebbe diventare presidente. Ma io lo batterò lealmente e apertamente. Queste decisioni non devono essere prese dai giudici, ma dagli elettori».
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