La commedia del giuramento fra noia, gaffe e cravatte viola

Il premier sfida la scaramanzia cromatica e Alfano entra in auto. La Lorenzin sbaglia il tempo della stretta di mano

La commedia del giuramento fra noia, gaffe e cravatte viola

Roma - «Consegnerò con il sorriso la campanella al mio successore», aveva detto Renzi. Sorridendo già, forse un po' troppo, per un premier uscente, mai eletto, sconfitto sul piatto dove s'era giocato l'all in. Sarà che lo sapeva, che il saluto a Palazzo Chigi era solo un arrivederci. Celebrato con la consegna di una felpa per sentirsi a suo agio, al successore Gentiloni, presidente sostituto più che incaricato. Letta chi? Quei tempi sono lontani, come il completo blu della Boschi: lei, che in questa casa dalle porte girevoli, da madrina delle riforme si ritrova sottosegretario alla Presidenza del consiglio, sceglie il nero: colore dell'eleganza, ma pure dell'ultima fiducia al Senato, da vedova del governo. Dietro il sorriso forzato alle telecamere, correndo sui tacchi senza la graziosa suadenza a cui ci aveva abituati, si nasconde il boccone amaro da ingoiare. Niente foto di gruppo per lei, a questo giro. Al suo posto, la Finocchiaro, ed è in questa alternanza feroce fra due facce del Pd, che si consuma l'epopea dello scontro fra generazioni dem. Finocchiaro, la casta che Renzi voleva rottamare, terrà i rapporti con il Parlamento. Politically correct garantito, in fatto di estetica e pure di equilibri, nel governo democristiano di Gentiloni. Ministro dell'Istruzione, Valeria Fedeli, «femminista, riformista, di sinistra»: ha quel tocco di rosso che basta, per riportare la sinistra nella sinistra del Renzi-bis.

Nel Salone delle Feste del Quirinale sfilano uno a uno, davanti Mattarella, che di casa fa gli onori, e Gentiloni, che sfida la sorte con la cravatta viola. Ci sono i riconfermati: Orlando, voce tremula. Senza pancione, Madia da Rivombrosa, pettinatura rinascimentale. La Lorenzin che sbaglia e s'affretta a stringere la mano a Mattarella ancor prima della sua firma. Alfano pecca pure di gusto, entrando al Quirinale con l'auto di servizio. Firma subito dopo l'avatar di Renzi, Luca Lotti, e non è un caso: è il sigillo del nuovo giglio che ha sposato la trinacria. Disinvolto Dario Franceschini, che ha atteso il suo turno per non farsi scappare l'intervista prima di entrare, mica come Padoan, tira dritto sul selciato del Colle.

Costa e Martina, compagni di merende, un po' annoiati, come all'ingresso a scuola. Più entusiasta De Vincenti: per lui, c'è stata la promozione. Pinotti, Galletti, Delrio, Poletti, l'outsider Minniti: capelli bianchi su abiti scuri. Altro che generazione Leopolda.

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