Se c'è una costante che accompagna la classe politica della Seconda Repubblica è quella di perdere le grandi occasioni, cioè l'incapacità di ritrovarsi nei momenti topici senza polemiche e senza litigi. Sarà per questo che da trent'anni si parla di Riforme costituzionali che non arrivano mai. Ora la manifestazione di ieri ha avuto un grande significato: una fiaccolata di tutta la comunità politica italiana per protestare contro l'assassinio di Alexei Navalny in Russia - che a questo punto potremmo tornare a chiamare Unione Sovietica visto che non c'è alcuna differenza tra i metodi di ieri e quelli perpetuati oggi - è stato un passo importante perché ha dato l'idea di una risposta bipartisan, unitaria in difesa della democrazia e della libertà di opinione anche nelle autarchie più efferate. I partiti italiani tutti insieme si sono uniti al coro che si è levato in Occidente. Non capita spesso.
Purtroppo, però, l'occasione è stata rovinata al solito nei giorni precedenti e addirittura ieri durante la manifestazione, dalle solite diatribe di chi si erge a giudice e fa l'esame del sangue ai partecipanti. Di chi rivendica di essere arrivato per primo o di essere più puro nell'anti-putinismo degli altri. Naturalmente è finito sul banco degli imputati Matteo Salvini e la Lega per le simpatie mostrate verso Putin in passato. C'è chi ha parlato di «ipocrisia» come il radicale Magi, o, addirittura, di «calcolo» come chi ha lanciato l'idea dell'iniziativa, cioè il leader di Azione, Carlo Calenda. E infine in piazza, come è tradizione, la sparuta rappresentanza dell'Anpi ha fischiato il capogruppo leghista Romeo.
Ora ci potranno essere pure delle riserve, dei dubbi sulla conversione leghista, ma non è questo il punto cruciale perché un simile atteggiamento finisce per depotenziare il dato politico di un'Italia che si oppone compatta alle logiche liberticide del Cremlino nel nome di Navalny. Invece, di stare appresso alle parole pronunciate negli anni o nei mesi scorsi dal leader della Lega su Putin, sarebbe stato - e sarebbe - meglio rimarcare che anche chi in passato ha mostrato comprensione nei confronti del tiranno del Cremlino dopo l'ennesimo delitto politico consumato in un carcere di massima sicurezza nel circolo polare artico in circostanze misteriose, non se la sente più di riconoscergli delle attenuanti o di assecondarlo.
In fondo la ratio di ogni iniziativa politica è quella di allargare il campo di chi si riconosce in un obiettivo, in questo caso, la protesta contro l'ennesimo delitto politico efferato sul quale si staglia l'ombra dello Zar. Anche perché cosa fa più male a Putin sapere che c'è tutta l'Italia che lo contesta, che lo considera un tiranno, o constatare che il Paese si divide nel criticare i suoi metodi e la sua politica? Non bisogna essere dei geni per capire che è la prima condizione. Inoltre rimarcare in positivo la nuova posizione assunta da chi in passato ha simpatizzato per Putin significa anche dare un senso al sacrificio di Navalny che ha aperto gli occhi anche a chi non voleva vedere.
E, infine, intravvedere una «svolta» nella posizione di Salvini di scendere in piazza per l'assassinio del leader dell'opposizione a Putin, riconoscerne l'importanza, legittimarla, renderebbe più difficile un ripensamento da parte della Lega, un dietrofront di nuovo filo-Cremlino. Dargli credito oggi determina un costo politico superiore nell'ipotesi di un ripensamento rispetto a quello che il leader della Lega pagherebbe se la decisione di partecipare alle proteste contro Putin fosse considerata da subito strumentale.
Ecco basterebbe un pizzico di buonsenso per comprenderlo. E di maturità.
Perché molto spesso le polemiche di casa nostra somigliano a quelle dell'asilo Mariuccia. Solo che finché si parla dei panni sporchi di casa nostra pazienza, ma quando ci troviamo di fronte a drammi e tragedie globali certi comportamenti stridono e mortificano l'intero Paese.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.