Comprati 90 caccia nuovi. Ma per riarmarsi non basta

Il nostro Paese da anni continua a tagliare il bilancio della Difesa. Sette euro su dieci coprono gli stipendi. Ma con la minaccia dell'Isis ormai alle porte è ora di cambiare rotta

Comprati 90 caccia nuovi. Ma per riarmarsi non basta

Pronti per la Libia? Mica tanto. La situazione delle nostre forze armate non è rosea, e di conseguenza non lo è nemmeno la prospettiva di un intervento militare per contrastare i jihadisti libici che combattono sotto le insegne dell'Isis al di là del Mediterraneo. Negli ultimi anni la parola d'ordine per le stellette è stata «tagliare» e, anche se ieri il governo ha cercato di metterci una toppa confermando l'acquisto di novanta velivoli F35 per il costo di 12 miliardi, la situazione è comunque grave. Gli effetti dei tagli sono evidenti: una contrazione dell'organico, squilibrato nelle categorie (oggi su circa 170mila militari più di 90mila, oltre la metà, sono ufficiali e sottufficiali), e messo a dura prova dal blocco degli stipendi, congelati al 2010 nonostante le promozioni.

Inoltre i tagli hanno avuto come conseguenza una riduzione brutale delle risorse economiche destinate all'addestramento e alla manutenzione dei mezzi. Nell'ultimo documento programmatico per la Difesa presentato qualche mese fa al Parlamento dal ministro Pinotti, è messo nero su bianco che le risorse messe a disposizione non bastano nemmeno al «soddisfacimento degli oneri ineludibili (quali il pagamento dei canoni di acqua, luce e gas e della Tarsu, il pagamento della copertura assicurativa Rca) e delle esigenze indifferibili connesse con la revisione dello strumento militare». Aggiungiamoci il «sospetto» con cui molti a sinistra guardano le divise e forse diventa più chiaro che a forza di colpi di forbice e riforme a base di lacrime e sangue per le stellette non siamo così pronti ad attraversare in armi il Mare Nostrum.

Marina, in arrivo le nuove fregate europee

È la più piccola delle Forze armate (in numero di uomini), ma è quella che sta ricevendo maggiori risorse. È la Marina militare. Entro il 2025 - dice il comandante, Giuseppe De Giorgi - deve dismettere 51 navi. In compenso, la legge di Stabilità di due anni fa ha previsto 10 miliardi di finanziamenti, la cosiddetta Legge navale. Serviranno per i pattugliatori d'altura. In compenso, stanno entrando in servizio le Fremm, le nuove fregate europee multimissione, delle quali due sono operative. Il Garibaldi è stato trasformato in nave anfibia. E l'ammiraglia è la portaerei Cavour. La Marina è impegnata nelle operazioni Triton e Atlanta.

Aeronautica, Tornado e droni oltre agli F-35

L' Aeronautica militare è la forza armata che, giocoforza, è la prima a intervenire nei teatri fuori area. Ecco perché ieri l'Italia ha confermato l'acquisto di 90 nuovi caccia F-35 per una spesa di 12 miliardi di euro. Al momento è proprio l'Aeronautica la sola forza armata impegnata contro l'Isis direttamente. In Kuwait 4 Tornado hanno il compito di individuare (attraverso fotografie) gli obbiettivi Isis in territorio iracheno. Li segue un tanker 767 e tre droni. Quattro Eurofighter sono impegnati nel Baltico, e a Gibuti l'Aeronautica ha 2 droni Predator. Due C-130 sono ad Al Bateen, uno è rimasto a Herat.

Mezzi e armamenti, pronto il "Lince" ultima versione

L' Esercito potrà contare su circa 800 mezzi nuovi, che comprendono sia veicoli da combattimento che veicoli tattici protetti. Il principale investimento della Difesa per i nostri soldati è l'acquisto di 249 veicoli blindati medi «Freccia» (dovrebbero arrivare entro il 2016) e quello - già terminato l'anno scorso - di quasi 500 veicoli tattici leggeri multiruolo «Lince», nella nuova versione «1A». Entro il 2015 dovrebbe essere completato anche l'acquisto di 56 veicoli tattici medi multiruolo, sedici dei quali attrezzati come «ambulanze protette» e gli altri in varie versioni, tra cui quella «anti-Ied», per la lotta agli ordigni esplosivi improvvisati.

Esercito, alpini e parà sono in prima linea

Sono sei le brigate che l'Esercito ha maggiormente utilizzato nei teatri fuori aerea; e che, verosimilmente, potrebbero essere (eventualmente) utilizzate in Libia. Ognuna è composta da circa 5 mila uomini. In Afghanistan sono passate le due brigate alpine (Taurinense e Julia), la Sassari, i bersaglieri della Garibaldi, i parà della Folgore e la Friuli. La brigata Pinerolo (meccanizzata) è stata utilizzata in Libano e alcune componenti anche ad Herat. Nel complesso, l'esercito dispone di 102 mila uomini e donne. Oggi sono un migliaio i militari italiani impegnati in Libano, 800 in Kossovo e quasi 300 in Afghanistan.

Ricambio generazionale, senza leva i militari invecchiano

Pochi e vecchi. Se oggi l'età media del personale delle forze armate è appena sotto i 40 anni, tra una decina d'anni, con l'organico attestato a 150mila unità come previsto dalla riforma voluta dall'ex ministro Di Paola, avrà superato i 46 anni. Il problema è sorto dopo il tramonto della vecchia «leva». I soldati di professione sono soprattutto in servizio permanente e dunque fatalmente invecchiano rispetto a chi è in divisa ma a ferma prefissata (che garantisce un ricambio generazionale). Al momento su 177mila militari soltanto 32mila sono a ferma prolungata o prefissata. Insieme ai tagli dei fondi per l'addestramento, un bel problema.

Servizi segreti, intelligence bocciata dagli alleati

In una guerra entra in campo anche un esercito invisibile, quello dell'intelligence, chiamato a raccogliere tutte le informazioni che possano orientare le strategie militari. Solo che nel caso della guerra alla jihadizzazione della Libia e in generale all'Isis il nemico non è del tipo tradizionale. Si nutre delle nostre incertezze occidentale, infiltra i suoi uomini nel cuore dell'Italia grazie al continuo flusso migratorio che è anche strumento di autofinanziamento, attua sistemi di proselitismo e di autoradicalizzazione attraverso la propaganda in Rete. I servizi segreti italiani sono attrezzati per una cyberguerra di questo tipo?

Bilancio della Difesa: 7 euro su 10 per gli stipendi

Quanti soldi piovono su Esercito, Aeronautica e Marina? Nel 2015, il ministero della Difesa può contare su 13,9 miliardi di euro, per oltre il 70 per cento destinati a pagare il personale. Sembra tanto? Non lo è. Rispetto ai principali Paesi Europei, l'Italia spende decisamente meno per la Difesa, sia in termini assoluti che relativi. Nel 2012, i 13,6 miliardi stanziati da Palazzo Chigi sono stati superati da Francia (30,3 miliardi di euro), Germania (31,87 miliardi) e Gran Bretagna (40 miliardi). Quanto alla spesa pro-capite, ogni italiano «paga» 229 euro l'anno per la Difesa, contro i 397 euro dei tedeschi, i 465 dei francesi e i 631 dei britannici.

Tagli, in due anni 1,5 miliardi in meno

«La Difesa ha rinunciato in due anni a 1,5 miliardi di euro su un bilancio di 19 miliardi. Non c'è nessun'altra amministrazione pubblica che abbia tagliato tanto», parola del ministro Roberta Pinotti. La sua amministrazione è quella che ha pagato il conto più salato nella prima finanziaria del governo Renzi. La legge di Stabilità 2015, infatti, prevede per la Difesa 1,5 miliardi di dismissioni e 550 milioni di riduzioni alle Forze armate, di cui 496 arrivano direttamente dalla revisione delle spese e l'approvvigionamento militare. Da solo il dicastero della Difesa sostiene quasi la metà dei tagli attinti dalle dotazioni ministeriali.

La Costituzione, la guerra d'aggressione è vietata

Sono 12 i principi fondamentali con cui si apre la nostra Costituzione e l'articolo numero 11 recita così: «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo». Queste norme individuano i valori di base della Repubblica e vengono considerati non modificabili, mentre tutte le leggi vi si debbono uniformare.

Pacifismo: Usa e Nato eterni nemici di base

Il pacifismo da noi passa spesso per le forche caudine del boicottaggio e delle manifestazioni che di pacifico hanno poco. Per restare agli ultimi vent'anni si ricordano ancora le azioni di sabotaggio nel 2003 contro i treni che trasportavano materiale per le basi americane in Sardegna. O la costituzione addirittura di un comitato (a Vicenza) per dire no alla base Nato al posto dell'aeroporto Dal Molin.

Fino alla vera propaganda antisionista davanti ai cancelli dell'Alenia Aermacchi, per impedire il passaggio in Israele di prodotti militari. Ultimi a scendere in piazza coloro che l'estate scorsa non volevano l'intervento militare in Siria.

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