La stima c'è tutta. In un recente incontro con alcuni sacerdoti ambrosiani, Il Papa se n'è uscito con un'immagine che è una lode: «Monsignor Delpini è come il pepe, non lo vedi, ma lo senti».
Del resto è difficile non riconoscere le doti dell'arcivescovo di Milano, uomo di fede ma anche comunicatore straordinario. Capace - vedi la predica per la famiglia sterminata quest'estate da uno dei figli- di mettersi in sintonia con il mondo di oggi che incrocia il cristianesimo con il pregiudizio illuminista e la fretta di chi associa la liturgia ai diorami dei musei.
Tutto vero, ma anche questo round di nomine si è concluso come i precedenti: l'arcivescovo di Milano non diventerà cardinale. Lo sarà quello di Torino, Roberto Repole, promosso finalmente in questa tornata, ma non lo sarà Mario Delpini. Milano e Venezia restano fuori dal collegio cardinalizio.
Milano è la città di Achille Ratti, Pio XI, e di Giovanni Battista Montini, Paolo VI, a Venezia, sempre per rimanere al Novecento, sono stati patriarchi Angelo Roncalli, ovvero Giovanni XXIII, e Albino Luciani, il Giovanni Paolo I dei 33 giorni.
Quattro vescovi in meno di cento anni diventati pontefici. Milano è una delle diocesi più grandi e evolute del mondo. E l'arcivescovo è capo del rito ambrosiano, Venezia è sempre stata un ponte con l'Oriente. Ma Francesco utilizza altri parametri. Semplificando, si potrebbe dire che più che alla storia guarda alla geografia. Le tradizioni e il contesto certo hanno un peso, ma forse quel che più urge per lui è sdoganare le periferie. Mettere in evidenza le chiese dell'Asia più sperduta, con la berretta rossa per la microscopica comunità della Mongolia, dell'America Latina profonda e dell'Africa martoriata, la geografia appunto dei tanti luoghi fuori dalle grandi rotte. Del resto, anche i viaggi di questo pontificato certificano lo sparigliamento dell'epoca bergogliana: Francesco è andato a Lampedusa, mai a Parigi. E solo nei giorni scorsi ha toccato il cuore dell'Europa, Lussemburgo e Bruxelles, tappe di un percorso non facile, in un momento storico in cui la fede sembra aver divorziato dalla ragione, riducendosi spesso a succursale di buoni sentimenti. Sull'Italia il discorso si fa più complesso. Il Papa, che spesso bypassa i suggerimenti del nunzio, sembra prediligere personalità in grado di interpretare la contemporaneità, insomma capaci di affrontare le sfide del tempo presente, senza considerare più di tanto il curriculum di ciascuna città. L'arcivescovo di Torino ha riorganizzato la chiesa e ha preso atto del fatto che oggi i cristiani non sono più la maggioranza ma semmai il lembo di un popolo sempre più sfilacciato e scompaginato.
Può darsi che nei ragionamenti di Bergoglio su Milano abbia inciso la circostanza che lui, a dimostrazione del rovesciamento di antichi e collaudati schemi, ha già nominato un cardinale lombardo, ovvero monsignor Oscar Cantoni, il vescovo di Como. E poi c'è un'altra presenza, quella del cardinale Angelo Scola, ormai escluso dalle votazioni del conclave per i raggiunti limiti d'età, e che anzi riempie due caselle perché è stato anche patriarca di Venezia.
Ma queste sono congetture, come non sembra aver avuto importanza il coinvolgimento dell'allora vescovo ausiliare che non avrebbe vigilato con la necessaria durezza nella vicenda scabrosa di don Galli, portato in Tribunale per violenza su un bambino. La metropoli della Madonnina resta in panchina.
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