Il regime degli ayatollah cala ancora la sua scure di ferro contro gli oppositori che stanno manifestando da tre mesi per le strade dell'Iran in seguito alla morte Mahsa Amini, la 22enne curda morta il 16 settembre. Sono le proteste più vaste che la Repubblica islamica ha visto dalla sua fondazione nel 1979. Il regime trema e cerca di imporre il terrore a tutti. Ora anche Farideh Muradkhani, attivista iraniana e nipote della Guida suprema dell'Iran, Ali Khamenei, è stata condannata, prima a 15 anni di carcere dal Tribunale speciale del clero, poi a 3 anni. La donna era stata arrestata il 23 novembre scorso. Prima di finire in carcere, aveva chiesto ai Paesi «amanti della libertà» di espellere gli ambasciatori dell'Iran, a sostegno delle proteste del popolo iraniano. Farideh è figlia di Badri Hosseini Khamenei, sorella di Ali, che nei giorni scorsi ha condannato anche lei la repressione delle proteste.
Ma il popolo non si vuole più piegare. Ieri è stata sepolta a Teheran tra pesanti misure di sicurezza la salma di Mohsen Shekari, il manifestante 23enne impiccato giovedì, prima dell'alba, dalla Repubblica islamica dell'Iran. Il video diffuso sui social mostra che era presente un ridotto numero di familiari e parenti alla sepoltura, avvenuta nel Behesht Zahra, il più grande cimitero della capitale. Mohsen è stato il primo manifestante giustiziato dal regime, dall'inizio delle proteste anti-governative nel Paese.
Gli ayatollah hanno scelto la via del terrore nei confronti di chi non si arrende davanti alla loro forza brutale. Sono 11 le persone condannate a morte in Iran dopo essere state arrestate durante le proteste. A denunciarlo è la ong Iran Human Rights, con sede ad Oslo, che fa sapere che «altre decine di persone rischiano attualmente la pena capitale» e che «la Repubblica Islamica ha intenzionalmente nascosto i nomi dei manifestanti con condanne a morte confermate». Secondo la ong, «gli imputati non hanno accesso ai loro avvocati» e non possono avere contatti con i familiari. Molti casi di condannati a morte non confermati «circolano sui social media», denuncia ancora Iran Human Rights, e alcune delle condanne alla pena capitale emesse riguardano l'uccisione di un ufficiale dei Pasdaran durante i disordini avvenuti a Karaj il 3 novembre, quando manifestanti stavano commemorando un altro dimostrante ucciso e sono stati attaccati dalle forze di sicurezza.
Nel mezzo di questo caos di violenza e repressione arriva la reazione durissima del presidente iraniano Ebrahim Raisi a un giorno dall'esecuzione di Mohsen. L'identificazione, i processi e le punizioni per i «rivoltosi» in Iran continueranno in modo serrato da parte della magistratura. «Con i loro recenti complotti contro l'Iran, i nemici hanno tentato di distorcere i fatti con bugie ma le loro illusioni finiranno e ciò che resterà sarà la verità», ha sottolineato il presidente ultraconservatore. Nel frattempo, il predicatore fondamentalista Ahmad Khatami, imam per la preghiera del venerdì a Teheran, ha ringraziato la magistratura per l'esecuzione di Mohsen: «Ora i rivoltosi sanno che in questo Paese vige la legge». Nuove manifestazioni sono convocate per oggi pomeriggio dopo l'impiccagione di Mohsen.
La morte del 23enne è stata contestata da Molavi Abdulhamid, predicatore sunnita di Zahedan, nella provincia del Sistan-Baluchestan. «Sono coloro che hanno sparato contro il popolo quelli che dovrebbero essere puniti», ha tuonato il religioso.
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