Confalonieri, l'amico sempre Fedele tra pianoforte, affari e Milano d'antan

Il presidente di Mediaset, come un fratello, non lo ha mai lasciato solo: "La musica ci ha attratti subito l'uno all'altro"

Confalonieri, l'amico sempre Fedele tra pianoforte, affari e Milano d'antan

I giorni della prova. Lui c'era, giorno per giorno, tutti i giorni o quasi. Dal 5 aprile, esattamente un mese fa, Fedele Confalonieri è stato vicino a Silvio Berlusconi, aggredito dalla malattia, e ha portato conforto e sorrisi nella cittadella del San Raffaele. Un legame antico, cominciato quando i due ragazzini abitavano a pochi metri di distanza nel cuore dell'Isola, un quartiere che allora era più popolare, senza l'upgrade della Milano creativa di oggi: «Era un po' un villaggio - ha raccontato Confalonieri ad Alan Friedman nel libro My Way - il nostro Pian della Tortilla. E la cosa curiosa - ha aggiunto con una nota di divertita ironia - è che Berlusconi abitava di fronte al Circolo Sassetti che era un circolo del Partito comunista, quindi qui c'era già una specie di anteprima di quello che sarebbe successo dopo». Nel 1994, con la sconfitta inattesa della gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto che pensava di aver imboccato il viale del trionfo e invece fu fermato dall'outsider.

Fra l'anticomunismo della porta accanto e la terapia intensiva di via Olgettina, c'è tutto il lungo e tumultuoso dopoguerra con cui l'inossidabile duo Silvio-Fedele va a nozze, ritagliandosi un posto fisso in prima pagina.

Quel sodalizio ha attraversato giovinezza e maturità, la discesa in campo e le polemiche furibonde dei decenni successivi, un pezzo non secondario della storia italiana, per ritrovarsi ora davanti al destino che bussa senza discrezione.

Rieccoli di nuovo insieme, con Fedele che si fa portavoce, rispondendo alle domande dei cronisti, qualche volta dando spessore e colore alla laconicità asettica dei bollettini medici, provando a interpretare, anzi a riempire il silenzio di quelle comunicazioni dosate col bilancino, parola per parola, in un precario equilibrio fa speranza e prudenza. «Berlusconi sta meglio di prima», afferma il 7 aprile con l'inguaribile ottimismo di una vita e poi quella frase, con le varianti quotidiane, diventa un mantra, la strada della riscossa: «Berlusconi sta molto meglio», «Il mio amico sta meglio e lavora alla convention di Forza Italia». Sempre paziente, tranne la volta, una sola, in cui l'irritazione prevale sul consueto aplomb.

Avanti, verso il prossimo appuntamento, per un altro tratto di strada comune. Certo, la coppia non può proprio essere infilata nel solito album da mostrare agli amici nei momenti di festa. Qui i fuochi d'artificio sono iniziati quasi subito: «Io suonavo l'organo e dirigevo i ragazzi del coro - così Silvio ricorda a Friedman il primo incontro con Fedele alla messa della scuola in via Copernico - poi è arrivato Fedele e fu chiaro fin dal principio che lui con l'organo ci sapeva fare più di me. Studiava già al conservatorio. Così fui lieto di lasciargli il posto».

Generosità e tenacia. Affari e musica. Uno più esposto, sempre oltre la prima linea, l'altro solo un passo più indietro, ma sempre in una posizione strategica. E quando lo spazio diventa quello del letto di un ospedale, il rapporto si fa bastare quell'ambiente essenziale dove non c'è tempo per il superfluo, ma i sentimenti e gli affetti corrono più veloci.

«Parlavano di dimetterlo - spiega Fedele al solito grappolo di telecamere e taccuini - non so se già questa settimana. Queste sono cose mediche però», frena infine mettendo un argine al desiderio di tornare alla normalità di sempre.

«Era già uno che aveva le caratteristiche per piacere agli altri - confida il presidente di Mediaset al biografo americano - faceva l'attore nelle commedie scolastiche, scriveva per il giornale della scuola Ma penso sia stata la musica ad attirarci l'uno verso l'altro. Già al liceo improvvisavamo insieme. Io suonavo l'organo o il piano e lui cantava. Si vedeva che aveva la vocazione dell'entertainer».

Complementari. Senza mai perdersi di vista. Ai tempi di via Volturno ed ora qualche chilometro più in là, dove Milano pesta i piedi a Segrate.

L'amico più amico non si è mi staccato dal compagno più vecchio di un anno: nelle prime ore

segnate dall'apprensione, per l'aggressione della leucemia, e poi in quelle sempre più frenetiche che segnano il ritorno in pista, l'ennesimo, del Cavaliere. Impegnato fra telefonate e registrazioni come fosse già ad Arcore.

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