Il confine tra la vita e la morte è largo 3 centimetri, quelli che hanno salvato il piccolo Alessandro e condannato suo padre Bruno. Camminavano lungo la Rambla, il bimbo per mano al papà mentre la sorellina Aria era nel marsupio della mamma Martina. Il furgone della morte è piombato su di loro, la madre è riuscita a buttarsi di lato tirandosi dietro i piccini mentre l'uomo si è chinato per fare loro da scudo. Mamma e bambini illesi, il babbo falciato per aver protetto la sua famiglia. Dopo aver dato vita ai figli, ha dato la propria per loro. Ha perso la vita perché quelli che amava vivessero. Tre centimetri, un abisso. Una frazione di secondo in più e forse anche Bruno Gulotta sarebbe rimasto vivo.
In questa voragine larga come uno spiraglio sprofondano le domande che non abbandoneranno più i suoi familiari, gli amici, i colleghi, tutti noi: perché? Perché lui, proprio lui, arrivato da poche ore a Barcellona in vacanza? A che vale la vita se viene spenta così? In uno dei suoi canti più cupi, A se stesso, Giacomo Leopardi si compativa così: «Al gener nostro il fato non donò che il morire» perché sul mondo incombe «l'infinita vanità del tutto». La morte come regalo, come via di fuga da una vita insostenibile. Saranno d'accordo con lui gli adepti del terrore jihadista. Dopo un altro orribile attentato in Spagna, quello dell'11 marzo 2004 ai treni di Madrid, Al Qaeda ci ha consegnato la più lucida e spietata spiegazione dell'orrore prodotto dal fondamentalismo islamico: «Voi amate la vita e noi amiamo la morte, e questo è un esempio di quanto dice il profeta Maometto», disse il portavoce di Bin Laden rivendicando la strage. Questo è lo spartiacque: se noi amiamo davvero la vita, con forza e passione. E la tragica fine di Bruno Gulotta non è un inno alla morte, come vorrebbero gli assassini nel nome di Allah, ma una storia di amore alla vita, quella di un uomo verso la moglie e i figli. Bruno Gulotta teneva la mano di Alessandro. E un'altra mano, quella della mamma, ha strappato il piccolo da un destino atroce.
Una mano ci salva, una mano tesa che stringiamo come la cosa più preziosa del mondo. Noi non ci facciamo da noi e nemmeno ci salviamo da noi, occorre un altro che ci si faccia incontro, si pieghi su di noi. E colmi quel baratro largo appena tre centimetri.
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