Non era solo una notizia, ma era la notizia. Ed è stato dunque sorprendente vederla scomparire, confinarla, aggiustarla fino al paradosso di ribaltarla. Nessuno, almeno qui, ha la presunzione di spiegare cosa sia il giornalismo, ma è stato giornalisticamente un inedito del mestiere aprire le prime pagine e «non leggere» che era competenza del governo proclamare la zona rossa e non responsabilità della Regione Lombardia come da mesi si scrive e si ripete. È stato detto a Bergamo e non da un comitato di redazione, ma dal procuratore aggiunto Maria Cristina Rota che ha ascoltato per due ore il governatore Attilio Fontana, ricostruito i passaggi, prima di dichiarare di fronte al palazzo di giustizia che «da quel che ci risulta è una decisione del governo». E infatti non si esclude che dopo Fontana possano essere convocati il premier Giuseppe Conte e i suoi ministri. Può una tale notizia essere interamente ignorata come ha scelto di fare La Repubblica (neppure un passaggio nell'edizione nazionale) proprio quel quotidiano che ha titolato «Mani Pulite sul Trivulzio», «Poveri morti nascosti»? Mai come questa volta sarebbe stato preferibile non gonfiare l'isteria, quella stessa isteria che ha costretto la polizia a disporre un servizio d'ordine come nei maxi processi, quei corridoi per impedire alla folla la sentenza di strada. Ad attendere Fontana, finito sotto protezione per ignobili minacce (a proposito, ma dov'è la solidarietà?), c'era canagliume organizzato, teppismo ideologico che da mesi sniffa odio di «carta» e non solo contro di lui, ma contro l'assessore alla Sanità, Giulio Gallera, a cui si vuole caricare morte, contagio; manca solo l'accusa di commercio di virus. Da quando è scoppiata l'epidemia, si cerca di convincere, ma non di dimostrare, che la mancata istituzione della zona rossa sia la pistola fumante delle colpe lombarde. Per questo non si comprende ancora come quel presidio di giornalismo, il giornale che più di tutti dovrebbe amare e raccontare la Lombardia, proprio non si capisce come il Corriere della Sera abbia trascurato ieri questa verità, pronunciata da un pm, e le abbia solo dedicato un occhiello, in prima pagina. Il racconto e la dichiarazione, che capovolgono un teorema, finiscono a pagina quindici con un titolo che è un esempio di prudenza. È quella prudenza che è mancata quando in Lombardia i corpi erano ancora caldi. E ieri, a leggere La Stampa, l'impressione era che a Bergamo non si indagasse sulla catena di cause, ma si ragionasse semplicemente di incomprensioni burocratiche tanto era ambiguo il titolo in pagina: «La pm di Bergamo: Niente zona rossa. Scelta del governo». E fin qui si tratta comunque di scelte discutibili. Non sono mai quell'operazione di dadaismo, revisionismo del reale che ha compiuto Il Fatto Quotidiano. Non c'è solo la frase acrobatica con cui ha aperto l'edizione: «La pm ha già assolto Fontana, ma la legge smentisce tutti e due». Più sofisticati erano i due articoli. Non potendo manipolare le parole del pm, e per non scaricare la responsabilità al governo, ci si è concentrati sulla ministra - quella dell'Interno, Luciana Lamorgese - che al Fatto sta antipatica. Sarebbe sua l'incertezza, e non del governo, «tanto che nei corridoi della procura non si esclude di interrogare anche il ministro». Questo era il primo. Più spericolato era il secondo articolo.
Se era dovere del governo proclamare la zona rossa, la colpa della Lombardia, per il Fatto, è allora non essersi sostituita al governo e dunque il titolo è «Ma la Regione poteva chiudere». Siamo al di là della notizia, siamo ai documenti di persuasione. Oltre questo limite non c'è nient'altro che l'inquisizione, la zona rossa della mente.
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